É raro che si possa assistere a un spettacolo che, non solo sia bello, ma che sia anche ben fatto; il binomio di questi due elementi rende l’evento imperdibile. Ecco, “Aspettando Godot”, in scena al Conciatori fino al 28 febbraio, è un “bello spettacolo”.
«Le plaisir de l’amour est d’aimer; et l’on est plus heureux par la passion que l’on a que par celle que l’on donne». Lo scriveva François, duc de La Rochefoucauld. Mai frase fu più sincera e adattabile per l’attore. “Il piacere dell’amore sta nell’amare, si è più felici per la passione che si ha per quella che si procura”.
Nello spettacolo del 24 febbraio dal palcoscenico è trasudato così tanto amore, passione per questo testo che si è anche riusciti a strappare delle convinte risate dal pubblico. E quale sentimento riesce a essere reso ancora più nobile dal riso se non proprio l’amore?
Marco Quaglia, Gabriele Sabatini, Mauro Santopietro, Antonio Tintis e Francesco Tintis sono stati tutti praticamente perfetti. Guidata dalla sapiente regia di Alessandro Averone, la compagnia ha reso alla perfezione.
Marco Quaglia e Mauro Santopietro sono stati perfetti nel ruolo dei due uomini in perenne attesa. Un’attesa straordinariamente emotiva, dinamica e statica. Quaglia era tenero e comico, Santopietro feroce e distaccato. Ma, uniti, sono stati loro a reggere la base di questo splendido monumento che è stato lo spettacolo.
Lucky, Gabriele Sabatini, è stato a tutti gli effetti perfetto. Il monologo delirante che tutti aspettavano ha giustamente strappato una ovazione. È stato in grado di trasferire nei lunghi silenzio e nei rantoli di Lucky quel quid ferino tutto di Calibano. Mentre Pozzo, Antonio Tintis, ha saputo scaldare, irritare e divertire la platea, senza mai renderla stanca del personaggio.
Una menzione speciale al giovane Francesco Tintis, più un viso da Puk che un semplice garcon, ma già più che una semplice promessa. Del resto non è sufficiente sapere recitare come un muletto quattro parole, l’attore è presenza. E la presenza del ragazzo dal viso da fauno non è solo una promessa, ma una concreta certezza gettata nel presente di un futuro che dovrebbe esserci.
In sostanza, è raro che una compagnia possa rendere perfetta un testo che già di suo è archetipico. Soprattutto con un testo con così poche parole. “Godot” è più che altro il capolavoro del popolo, che lo ha reso tale. Beckett diceva «La gente è cretina». Nota non del tutto falsa. Ma questa volta avrebbe trovato in questi cinque attori tutta l’Umanità. In una epoca ugualmente infelice come tutte le altre, solo con il ricordo più marcato delle lacrime, degli spettacoli come questo servono. Servono ad alzarsi in piedi e ricordare di essere, sopra ogni cosa, uomini con una forte propensione per l’amore e il Bello.