Dal 12 al 24 febbraio in scena al Teatro Argentina il grande classico ENRICO IV di Pirandello. A cimentarsi con questa pietra miliare del teatro novecentesco Carlo Cecchi, che dopo i memorabili allestimenti L’Uomo, la bestia e la virtù (1976) e Sei personaggi in cerca d’autore (2001), si confronta ancora una volta con i grandi ed eterni temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà. Un classico smontato e rimontato dove la pazzia, l’arte e l’immaginazione si impongono come unica realtà, uno spettacolo in cui a trionfare è il teatro nel teatro, e il teatro l’unico vero protagonista. Dramma in tre atti scritto nel 1921 e considerato il capolavoro di Pirandello assieme al suo Sei personaggi in cerca d’autore, ENRICO IV è una tragedia vibrante, amara, di assoluta bellezza, che infrange gli schemi della drammaturgia. Un testo che attinge alla tensione interiore di un protagonista che diventa tensione di segno universale, fino a trasformare la tragedia in farsa. «Si recita con Pirandello e anche contro Pirandello – sottolinea Carlo Cecchi – Si prendono alla lettera la famosa formula “teatro nel teatro” e l’altrettanto famosa opposizione “finzione/realtà” e le si spingono oltre l’asfittico dibattito “vita/forma” verso un gioco di specchi in alcuni casi vertiginoso. Si recita anche contro Pirandello, quando il contenuto e/o la forma della sua “tragedia” regrediscono ai luoghi comuni del teatro naturalistico della fine dell’Ottocento (per esempio: “la commozione cerebrale” come causa della pazzia del protagonista; o l’intero terzo atto che Pirandello precipita in un confuso e melenso melodramma con tanto di “catastrofe” finale). Questo doppio gioco con l’autore e con la pièce – doppio gioco che prende Pirandello molto sul serio, e lo affronta criticamente – conduce “la tragedia” a uno spettacolo il cui tema è il teatro, quello di oggi: specchio frantumato che riflette la vita della nostra epoca che è (citando Baudelaire) “un deserto di noia” con “oasi d’orrore” che crescono e sempre più si moltiplicano nel mondo. Enrico IV fu scritto per Ruggero Ruggeri, “grande attore” dei primi decenni del Novecento di stile liberty e di scuola dannunziana. Dopo di lui, tutti i “grandi attori” si sono “cimentati” con questo ruolo, fino agli ultimi superstiti. Esso è infatti un lungo, sterminato monologo, dove la funzione degli altri personaggi si riduce spesso a quella di dare la battuta al “grande attore” perché possa continuare il suo estenuante monologo». È qui che Carlo Cecchi interviene con la sua regia, riducendo drasticamente la parte di Enrico IV per mettere in luce lo spessore drammatico degli altri personaggi, puntando sul gioco d’insieme. «La prima scena, quella dei consiglieri, immette immediatamente nel teatro: si tratta infatti di un provino che i tre fanno al nuovo arrivato; si gioca fra Pirandello e l’improvvisazione, entro dei limiti che non la conducano a quel teatro gratuito, arbitrario, delle cosiddette “attualizzazioni”».