Duccio Camerini presenta per la prima volta all’OffOff Theatre, dal 12 al 14 aprile, l’adattamento teatrale dell’intera opera di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (À larecherche du temps perdu), vestendo gli abiti dell’autore e dei personaggi che gli ruotano intorno, immerso in scenografie digitali firmate dal video designer Stefano Di Buduo e diretto da Pino Di Buduo.
Duccio Camerini e Pino di Buduo prendono il più lungo libro mai scritto (composto da 7 libri: La strada di Swann, All’ombra delle fanciulle in fiore, I Guermantes, Sodoma e Gomorra, La prigioniera, La fuggitiva, Il tempo ritrovato) e ne traggono un racconto fulminante, un viaggio dell’io, una storia che è anche un’enciclopedia di storie, un punto di vista su com’è fatto – e come dovrebbe essere fatto – il mondo.
L’educazione esistenziale, sentimentale e sessuale di un ragazzo che si scoprirà scrittore, resa in un racconto sugli uomini e sul tempo, che poi è la malattia che li perseguita. Uno dei più grandi esperimenti letterari di sempre viene così messo in scena non come un bozzetto della “belle epoque”, lussi ed eccessi, bensì come il percorso di un’anima, la cui ironia, violenza, tenerezza, ci riguardano profondamente.
Perchè la “Recherche” è un grande romanzo-provocazione di fine millennio, che affonda in un’epoca di transizione, sfuggente e inafferrabile proprio come la nostra, adesso.
Nota di drammaturgia di Duccio Camerini
La “Recherche” è una delle più grandi architetture letterarie di tutti i tempi. Come tradurre tutto questo in un linguaggio teatrale? Questo era innanzitutto il mio desiderio, ma anche la sfida che ha animato il lavoro. Gli ostacoli erano molti, a prima vista non sembrava di vedere che ostacoli, grandi massi seminati sul cammino. Proust è un autore conosciuto soprattutto per il suo stile. La digressione, la descrizione, la creazione di atmosfere. E’ noto l’episodio di quando portò il primo libro de “La Recherche” ad un editore, e questi rispose che non capiva perchè pubblicare un libro in cui il protagonista impiega 30 pagine ad addormentarsi. Eppure le atmosfere sottili non sono tutto in lui. Proust è uno scrittore che sa essere violento, attraverso le azioni che “mette in scena”, gli oggetti, la lettura degli oggetti, oppure attraverso i suoi celebri dialoghi affilati. Forse la chiave era proprio partire da quelle “azioni”: il teatro, si sa, ha simpatia per le azioni. A costo anche di rinunciare a molto, moltissimo dell’originale. Impossibile entrare in competizione con quell’incredibile oceano di parole. Personaggi, dunque, eventi, una griglia, un reticolo di esseri e di conseguenze, suscitate dal loro agire. Ma anche di passato, di cause sfuggenti. Un mondo labirintico e mentale, una storia mai dritta ed esplicita, un romanzo di formazione negato fino all’ultimo. Forse alla fine un esercizio meditativo, quasi una forma di ascesi orientale – Harold Bloom ne è convinto – la ricerca di una rivelazione, la decifrazione del linguaggio che attraverso i nostri corpi ogni giorno parla il tempo.