Il teatro diventa esperienza personale, viva, di riflessione ed empatia condivise quando lo spettatore si trova di fronte ad una rappresentazione di ciò che, nel bene e nel male, riesce a percepire come vicino – o quantomeno credibile – rispetto alla propria dimensione esperienziale. E se chi si prende carico di metterci di fronte ad un drammatico spaccato di realtà è in grado di farlo attraverso quell’ironia figlia di un’analisi integrata della congenita tragicità dell’esistenza, allora di stato di grazia si tratta. È ciò che accade sul palcoscenico di “Due donne che ballano”: un prodigio teatrale messo in atto con mirabile semplicità da due attrici del calibro di Maria Paiato e Arianna Scommegna, equilibratissimo duo la cui carta vincente è lo straordinario connubio di tecnica e cuore. Una donna anziana e una più giovane che viene chiamata a farle da badante. Tutte e due schive, energiche, sarcastiche ed eroiche. Si odiano e si detestano perché sono simili, perché ognuna ha bisogno dell’altra e, nella solitudine delle rispettive vite, sono l’una per l’altra l’unica presenza confortante. Una piccola storia come tante che accadono nei grandi condomini di qualsiasi città, un microcosmo, un ecosistema esistenziale, che attraverso la scrittura di Josep Maria Benet I Jornet diventa un modo gentile, amaro e profondamente ironico di raccontare un’intera società, in cui le persone difficili e scomode sono estromesse e confinate ai margini, ad affrontare in solitudine la pista da ballo del proprio destino. Due personaggi esemplari, che si alleano nella vita e nella morte pur di non cedere alle dinamiche di un sistema che non contempla l’umana fragilità, il dolore e ciò che esso implica. Sono donne normali, come tante altre, senza fronzoli ma a loro modo straordinarie, perché straordianaria è la loro resistente autenticità. Una scenografia semplice e opaca, povera perché volutamente neutra, in perfetto accordo con le luci – né calde né fredde ma rarefatte – intervallate da momenti di controluce suggestivi da cui rivebera la struggente profondità emotiva delle protagoniste. Una regia asciutta ed essenziale quella della Cruciani, a rendere volutamente paradigmatica la parabola di queste due donne, che dirompono l’una nella vita dell’altra, scena dopo scena, in un crescendo progressivo di spontanea intimità, fino al commovente epilogo finale. Da vedere, assolutamente.
Colette