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“Il libro bolañiano dei morti: esercizi di ego dissoluzione” di Piero Cipriano

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Ricordati che devi morire! Piero Cipriano se l’è segnato e, con Il libro bolañiano dei morti: esercizi di ego dissoluzione, in uscita per Milieu edizioni, porta i lettori nel vortice dionisiaco di una dance macabre sotto il segno del Covid-19: una narrazione dell’anno del virus in tre parti – prima, durante e dopo – in cui la voce dello psichiatra basagliano e psico-farmacologo critico riflette, dialoga, cita e racconta di follia, malattia, ecologia e morte, resoconto dell’esperienza della crisi e manifesto per il futuro, dal suo punto di vista di medico e, allo stesso tempo, parte della collettività.

Se la cultura del morire è scomparsa in Europa, sostituita dal bio-potere della sedazione, la pandemia ci ha riportato alla nostra condizione di organismi perituri. Una società iperattiva, e quindi stanca, e quindi depressa, e quindi medicalizzata, improvvisamente costretta a sospendere se stessa. Cosa sta accadendo? Cos’è che si è fermato? La storia, l’economia, il progresso, la democrazia?

Gli esseri che si dicono i più complessi, i più importanti, i padroni del mondo, messi in ginocchio dai più elementari: i virus. Siamo tutti parte di un grande organismo vivo che a malapena possiamo immaginare e di fronte al quale è ora di ridimensionarsi.

Il racconto dei giorni, delle relazioni con i pazienti, con i familiari, con i lettori, si intreccia alla lettura critica degli avvenimenti recenti, delle scelte politiche, della storia del pensiero filosofico, letterario, scientifico. Il libro bolañiano dei morti è una riflessione sul potere e sull’essere umano secondo una visione di libertà che riparte dal rispetto della vita e dalla capacità di immaginare mondi alternativi.«Non penso che questo virus che si è autoproclamato re del mondo, abbia fatto solo dei danni a questo pianetino. A questo consorzio umano che, dall’ultima guerra planetaria, s’era dimenticato di essere al mondo per morire. Ci sono i pro e i contro. Il bianco e il nero. C’è sempre del buono, anche nei film dell’orrore»