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Medea che fa ancora paura

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Ancora una volta Medea torna a far discutere. La mise en scene della tragedia euripidea di Maurizio Donadoni a Malborghetto propone una lettura che va oltre le dinamiche temporali, presentando una parabola interpretativa che vola sui tempi stessi.

Questa volta Medea e Giasone sono proiettati dentro un tunnel temporale, al cui inizio c’è una Iolco diversa e sempre uguale, e alla cui fine c’è un soggiorno borghese. È il viaggio che lascia interdetti. Pur restando immobili di fronte all’emergere della contraddizione continua, sembra che una sorta di femminismo da ultima frontiera si sia impossessato anche di Medea.

Sembra quasi ancora inaccettabile che Medea, una donna, possa essere pura cattiveria. La verginità spirituale di una donna, nella cultura occidentale, così profondamente intrista di Marianesimo, è un dogma assoluto e la cattiveria di Medea, la sua stupidità di fronte alle conseguenze delle scelte politiche, non sono viste per quello che sono: ottusità, ma per virtù.

Allora, se questo femminismo storicizzante, che vede in Medea la vittima a tutti i costi, la donna violentata, la migrante strappata alla sua libertà, per finire aggiogata dagli usi e costumi che lei non capisce, insomma se questo storicismo dinamico impone allo spettatore di vedere in Medea un finale politicizzato femminista e libertario, allora non resta nient’altro da fare che tornare alla Medea originale.

Perché inserire Medea dentro una rete di violenze domestiche? Perché condizionare Medea dentro una prospettiva politica migratoria? Forse perché è barbara? Allora ecco la Medea perfetta, migrante, donna, violata.

Ma Medea è tutto fuorché una debole: Medea è perfida, sobillatrice, vendicativa. Oltre che migrante di sua sponte. Un buonismo culturale ormai datato ha trasformato la donna assassina in una vittima degli altri, quando, al contrario, la vera carnefice è lei.

Maurizio Donadoni, un Giasone imbolsito da una vita passata accanto ad una Medea insopportabile, cerca scampo macchinando l’orrore che poi farà ricadere su di lei; sempre perché migrante e donna, quindi più facilmente accusabile. Medea, una splendida Maria Rosaria Omaggio, ribatte colpo su colpo alle ipocrisie falliche di Giasone, che non rispetta nulla di lei, se non l’utero e la sua utilità. Forse che si voleva trasformare questa tragedia in uno scontro epico? In una rilettura teatrale dello “Scontro delle civilità” di Huntinghton? Sicuramente è andata in parte così. Ma è un climax eterno, dove il frontale non arriva mai. E dove Medea, ancora una volta ne esce vincitrice. Ingiustamente.