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“Racconto d’inverno”, dubitiamo di tutto ma non dell’amore che il Bardo ha per le donne

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Nono stante una rilettura della drammaturgia che si abbandona a certe lusinghe forse un po’ troppo naif, come la citazione de La Tempesta e la frase, ormai diventata oltre che canonica quasi fatta: che siamo fatti della “stessa sostanza dei sogni”, e nonostante una recitazione talvolta recalcitrante, la performance di “Un racconto di  inverno”, per la regia di Elena Sbardella, ha raggiunto il suo scopo.

Combattendo contro un tempo incerto, la compagnia di attori è passata dalla Sicilia mitica ad una ancor più mitica Boemia di mare. Ma, sebbene il tutto si sia retto sopra la recitazione magistrale di Paulina, Ludovica Modugno, e di Carlotta Proietti, che ha messo in scena un Ermione rispettabile, non resta una performance storica.

Discutibile la decisione di far leggere da una voce fuori campo il coro del Tempo e, togliendo la personificazione del Tempo stesso. Poco sottolineato il ruolo di Autolico, Stefano Santospago, che, secondo altri interpreti scespiriani, va invece valorizzato; diventando, a tratti, più fondamentale di altri personaggi che, al contrario, dovrebbero scemare.

Consapevoli del ruolo del collettivo nella presentazione delle commedie del Bardo, questa volta il ruolo del “tutti” è sembrato sacrificato per una rincorsa individuale. Sinergicamente si è arrivati alla conclusione, ma asfissiante: perché uno spettacolo di tale lunghezza non può iniziare alle 21.15.

La commedia è stata rispettata in toto nella figura di Paulina, ottima ed eccezionale interprete di quell’amore per il femmineo che il Bardo ha sempre manifestato. Mezza strega mezza maga, innamorata ma non troppo, signora del signore di Sicilia, per lei scatta il meritato applauso.