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Raffaele Bartoli e il suo Filottete, il neoregista spiega il mondo dei non eroi

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Raffaele Bartoli, si prepara a mettere in scena il Filottete, come mai questa scelta?

Alla fine del percorso potevo scegliere qualsiasi testo della Storia del Teatro. Avrei potuto anche scriverlo da me. Ho scelto un grande autore perché volevo essere semplicemente e unicamente regista. Sofocle era perfetto e mi ha convinto con un buon argomento: in questo momento in cui c’è bisogno di un finale positivo, mi ha regalato una tragedia senza morti e senza sconfitti. “Filottete” è una truffa. Ed è per questo che è perfetto.

 

Un percorso di formazione, quello alla Silvio d’Amico, complesso, che cosa ti porti dentro ora che sei alla fine?

Mi porto dietro forse molti errori commessi ma altrettante potenzialità sfruttate. Ho capito che bisogna ascoltarsi. C’è una radice interna capace di riconoscere quando qualcosa è emozionante: è quella radice che bisogna conoscere. Di questa esperienza mi porto dietro i tanti incontri che l’Accademia mi ha permesso. L’incontro meraviglioso con l’esperienza e la professionalità dei Maestri; l’incontro sorprendente con la forza, l’entusiasmo dei compagni e di chi è più giovane e di me. Forse oggi sono più capace di mettere a frutto la volontà degli attori di costruire un buono spettacolo. O, almeno, di farli incontrare.

 

Parliamo della regia dello spettacolo, cosa si deve aspettare lo spettatore?

La faccia satirica di Sofocle. Il pubblico deve aspettarsi uno spettacolo che venga loro incontro, lontano dall’aspetto potente e aulico della lirica greca e invece strettamente connesso ai nostri lati meschini e fragili che a volte ci fanno sorridere. Ho lavorato perché lo spettacolo incontri il pubblico. Ho puntato a una regia evanescente, a lasciare il palcoscenico agli attori.

 

Si parla di eroi senza eroi, perché?

Ciò che ricercano i personaggi non è qualcosa di lontano, di ideale. Hanno necessità e paure terrene, fin troppo umane. Possono essere grotteschi, orribili ma anche divertenti. È una tragedia di eroi senza eroi in cui il mito è una scusa per attuare un inganno: un inganno a quella parte di noi che crede ancora negli eroi, nel senso di giustizia e nell’istintiva capacità di affrontare il mondo.

 

Il mondo greco è sempre presente, è un bisogno dell’arte, che viene da lontano, o solo una moda?   

Il mondo greco è passato, ed era passato anche per Sofocle. Il testo parla di una mitologia già vecchia 2500 anni fa, che è la scusa per raccontare una storia, una trappola per catturare l’animale potente che è dentro ogni uomo.