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Roberto Pellegrini e la sua fotografia si interrogano sugli opposti con i suoi lavori presso Ateliers

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Il fotografo svizzero Roberto Pellegrini prosegue la sua ricerca sullo spazio – iniziata nel 2009, con l’indagine sulle coppie oppositive ‘pieno e vuoto’, ‘sopra e sotto’, ‘dentro e fuori’ – presentando a Roma, presso Hyunnart Studio, la mostra Ateliers, nella quale le fotografie (cm. 100 x 70) di quindici artisti sono proiezioni luminose intorno alle quali lo spazio del loro laboratorio artistico si raggruma come fosse una concrezione fisica. 

L’atelier è il cuore cavo avvolto dalla penombra, è il luogo generato dalla personalità creativa tramite utensili, ingombri, opere. In quell’area non esplorata, piena zeppa di tranelli, a volte caotica, si delineano quelle caratteristiche spaziali che attraggono Pellegrini in modo ossessivo e lungimirante. 

Rendere palpabile lo spazio è azione che mira a scrollarlo dalla nicchia dove lo colloca l’idealizzazione al fine di coglierlo nelle sue occorrenze contingenti e irripetibili. Lo spazio per un artista è sempre concreto, tuttavia, il suo luogo di lavoro è la risorsa meno esplorata quando si studia la sua personalità. 

Illuminato fino ad apparire ritagliato dalla luce, l’artista vi torreggia, ma il peso dello spazio in penombra riequilibra quello della sua figura, in quanto emerge come parte oscura dell’individualità artistica. 

Non si tratta del semplice rapporto conscio/inconscio, ma del lato faber dell’essere umano, il quale nel proprio antro ha ammassato e ricostruito il mondo a sua immagine e somiglianza. 

Pellegrini sceglie la posizione in cui l’artista deve collocarsi, dopo aver deciso la sezione del cono prospettico, che assicura la visibilità dell’intero ambiente. Con esso, Pellegrini crea una specie di prolungamento, di deformazione, di falsa prospettiva; ed è grazie ad esso, pura invenzione del fotografo svizzero, che lo sguardo del fruitore sembra convergere su due fuochi. Se lo spazio è sempre una costruzione, si assiste in codeste fotografie a una costruzione al quadrato: lo spazio è prodotto dal fotografo che guarda lo spazio prodotto dall’artista.

La mostra presenta undici dei trentaquattro scatti già presentati presso il Museo e Centro Culturale Elisarion di Minusio nel 2018: Pascal Murer, Gianfredo Camesi, Guido Strazza, Giulia Napoleone, Loredana Müller, Paolo Di Capua Fabiola Quezada, Klaus Prior, Simona Bellini, Fiorenza Bassetti, Paul Wiedmer.

La mostra si arricchisce in oltre degli ultimi quattro scatti, effettuati, fra il 2020 e il 2021, presso gli atelier di Paola Fonticoli, Marina Bindella, Ettore Consolazione e Ernesto Porcari.

Può dirsi, al fine, che Roberto Pellegrini getti una luce sullo spazio costruito e sul suo costruttore per meglio deviare. Geniale stratagemma per far emergere quell’io che ogni giorno cerca di attingere al mondo delle forme. Il buio in cui Pellegrini affonda lo studio è solo un modo per ricreare il luogo dell’interiorità, mostrando la tenzone mai risolta tra stato interno e forma prodotta. 

La voluta oscurità in cui è immerso l’ambiente, con le ombre liquide, semoventi, rispetto alle quali la fissità dell’artista ritratto risulta ancora più radicale. L’ombra appare come oggetto fra altri oggetti, non un effetto della luce: un’addizione che è funzione dello spazio: sua diretta emanazione. Così, mentre lo spazio diviene via via più penetrabile, il fruitore si sfila dalle maglie della realtà e aggancia quelle dell’interiorità. Un’interiorità, e a questo punto è chiaro, soltanto immaginata.

Non è un caso che l’opera non sia in bella mostra: in alcune fotografie non è facilmente individuabile, in altre non c’è affatto. Forse l’opera è la cosa meno importante in un atelier. È quest’ultimo a costituire la fucina delle meraviglie, l’antro dell’improbabile, il luogo costipato da cui un’opera d’arte nasce. 

Tutte le fotografie sono stampate con inchiostri a pigmenti UltraChrome

 

  HyunnaArt Studio

viale Manzoni 85/87 –  Roma

Inaugurazione 25 settembre ore 18.00

25 settembre – 25 ottobre 2021