Dopo lo stop del 2020, dovuto all’emergenza coronavirus, torna Pirandelliana, la rassegna organizzata dalla Compagnia Teatrale “La bottega delle maschere”, fondata e diretta da Marcello Amici, giunta quest’anno al traguardo della XXV edizione.
Iniziata nel 1997 al Teatro Romano di Ostia Antica, la manifestazione ha proseguito la sua storia, dal 1999, nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio, uno degli spazi più belli dell’Aventino che si affaccia come un solenne balcone sulla Città, un luogo antico, austero, silenzioso, intenso ed elegante.
L’aria che si respira nel Teatro della Bottega non è mai raddensata e severa ma sempre ironica tragedia e commedia tragica perché la regia non ha mai dimenticato che Pirandello è stato l’autore del più acuto saggio sull’umorismo.
Considerata una delle rassegne teatrali estive di maggior prestigio Pirandelliana, con all’attivo 130.000 presenze, “È teatro di parola, teatro pirandelliano – come sottolinea Marcello Amici, direttore e fondatore della Bottega – che affronta gli spazi della solitudine e dell’emarginazione che opprimono e condizionano l’esistenza umana”.
Come di consueto saranno proposte, a sere alterne, opere teatrali di Luigi Pirandello.
La Rassegna, in programma dall’8 luglio all’8 agosto 2021, propone:
Così è (se vi pare) – (in scena il martedì, il giovedì, il sabato);
Il figlio cambiato – La Giara – (in scena il mercoledì, il venerdì, la domenica).
Si apre l’8 luglio con Così è (se vi pare), opera teatrale tratta dalla novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”, rappresentata per la prima volta il 18 giugno 1917. Commedia limite in ogni senso, definita da Pirandello “l’unica che mi sia veramente cara” è la più meccanica e crudele, perché la più nitida e coerente, la meno persuasiva e la più sincera delle opere del drammaturgo siciliano. È un capolavoro non per il dettato filosofico, ma perché anticipa, meglio di Sei personaggi, un nuovo teatro.
La vita di una tranquilla cittadina di provincia viene scossa dall’arrivo di un nuovo impiegato, il Signor Ponza, e della suocera, la Signora Frola, scampati ad un terribile terremoto nella Marsica. Al centro della vicenda drammatica la signora Frola che ritiene viva la propria figlia creduta morta, invece, dal genero e a lui ridata in moglie, come fosse un’altra donna. Il signor Ponza, invece, afferma che la suocera sia pazza perché ritiene viva la figlia morta da quattro anni mentre quella che ha con sé è la sua seconda moglie.
“La stanza della tortura – spiega Marcello Amici protagonista e regista dello spettacolo – è un salotto provinciale, con il suo brulicare di conformisti impiegati di prefettura e di signore irragionevoli e benpensanti che si dilaniano in una innaturale ricerca della verità. Ho cercato di dare corpo al delirante narcisismo logico, scomponendo volumi e colori, risolvendo il giuoco tra le maglie di un cubismo e la suggestione delle gelide geometrie di un teorema con sullo sfondo una scenografia suprematista”.
La situazione potrebbe essere chiarita dalla diretta interessata, la signora Ponza. Chiamata, la donna rende la situazione ancora più complicata, dichiarando di essere sia la moglie del Ponza, sia la figlia della signora Frola.
Incentrato sull’antichissimo mito dello scambio nella culla, tra figlio di re e figlio della miseria, Il figlio cambiato inizia con un assolo di teatro nel teatro.
“Tutta la storia è stata generata dalla terra in cui è nato l’uomo del Kaos – prosegue Marcello Amici, – ponendo in luce ogni immagine per introdurre lo spettatore nel clima del racconto. Non ci sono maschere, né travestimenti, perché il teatro deve rappresentare una favola come un prodigio che si appaghi di sé senza chiedere niente a nessuno.”
Al centro il mito della maternità, scritto in un luminoso stile fiabesco, in onore della più pura e libera fantasia, – tema cui Pirandello ricorre spesso nelle sue commedie – che avvolge la favola in un alone di pietà.
Conclude la trilogia della Pirandelliana 2021 La giara, raro esempio di aggregazione di elementi naturalisti, utilizzati a sostegno della dialettica umoristica di una Sicilia verghiana. Uomo ricco e ossessionato dalla brama del possesso, Don Lolò Zirafa vive nella perenne e logorante diffidenza del prossimo mentre Zi’ Dima Licasi è un conzalemmi, un personaggio al limite del grottesco, immerso nella sua solitudine e, come tutti gli istrioni pirandelliani, ambisce ad una patente, quella di inventore di un mastice miracoloso. Dopo l’acquisto da parte di Don Lolò di una enorme giara per conservare l’olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose il grosso recipiente viene ritrovato, da nuovo di zecca, perfettamente spaccato in due, fatto questo che fa montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata solo da Zi’ Dima Licasi con il suo mastice ma Don Lolò non si fida ed insiste affinché il conciabrocche renda più sicura la saldatura, rafforzandola con dei punti di filo di ferro. Ciò colpisce profondamente l’artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati. Costretto ad obbedire al padrone ed in preda all’ira, Zi’ Dima si mette all’interno della giara per eseguire più comodamente il suo intervento. Si dimentica però che la giara è molto panciuta ma ha un collo molto stretto. Così, terminata la riparazione, resta bloccato all’interno.
“La giara è un recipiente di potere, è l’involucro della nascita, – conclude Marcello Amici – l’utero e insieme la tomba, funge da totem, è un oggetto simbolo con il quale tutto si confronta. La giara sta lì come una metafora della trappola esistenziale da cui è possibile evadere solo con un guizzo beffardo.”