Se dopo Benjamin Constant nessuno ha ritrovato il dono del disincanto, lo spettacolo con Lucrezia Lante della Rovere, “Io sono Misia”, in scena al Piccolo Eliseo, fino al 13 novembre, non aiuta a spiccare il volo verso l’altrove.
Volendo mettere in scena la vita tormentata di Misia Sert, la musa dei grandi di inizio Novecento, si è finiti con il dare la stura a una sorta di studio su Sartre.
La proiezione spirituale di Misia morta, sepolta in una sorta di albergo sartriano, dove le porte non sono solo chiuse, ma i fantasmi possono entrare e uscire senza problemi, non aiuta a dare forza a una personalità così complessa come quella di Misia.
Lante della Rovere, recitando una parte che forse le calza, ma diagonalmente, dà un’ottima prova di sé, anche se ostacolata da un raffreddore che prende il sopravvento a metà della performance.
Lante della Rovere reinterpreta Misia, dovendo lottare con un testo che a tratti diventa così poco denso da diventare una sorta di schema della vita della giovane musa.
Niente fa andare verso la persona, tutto fa invece barcollare verso il personaggio.
La regia, puntando a un remake, come abbiamo detto, sartriano, e declinandosi verso lidi alla Carroll, finisce con il mettere in scena una sorta di fantasma di “Alice al di là dello specchio”, che poco sembra combaciare con l’acuto rimando al mondo ravelliano e al suo “Enfant et les Sortilege”.