Home teatro Uscire dall’adolescenza ed entrare nella maturità. Abbandonare Pasolini

Uscire dall’adolescenza ed entrare nella maturità. Abbandonare Pasolini

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In scena fino al 15 gennaio, al Teatro India di Roma, “Orgia” di Pier Paolo Pasolini, riletto e ripresentato da Licia Lanera.

Il mondo claustrofobico della protagonista questa volta viene proiettato su piano tridimensionale e artistico, che fa da sfondo alle angosce sadiche, tipicamente pasoliniane, che però sembrano fuori tempo massimo.

Ritorna, ancora una volta, in modo prepotente il quesito lecito di quanto possa considerarsi ancora attuale la poetica di PPP. In un mondo che è decisamente diverso da quello nel quale il poeta corsaro ha scritto, quanto è effettivamente onesta la sua analisi? Poco ci importa della sua analisi dei mass media, che al tempo era profetica, ma che oggi risulta stantia. La sua scomposizione dei rapporti di forza, cesellati su una griglia di valori che dell’antifascismo avevano fatto una categoria psicotica, davvero può ancora dirci qualcosa?

No, non credo. Pasolini ha fatto il suo tempo. Pasolini ha detto quello che doveva dire. E, concludendo, se immaginiamo di poter dire che la battaglia anti omofobica possa passare per Pasolini, allora è anche peggio. Perché bisognerebbe dire a chi “riscrive” il pensiero del poeta per piegarlo a una ideologia tutta moderna, che tra le altre cose non gli apparteneva, dovrebbe far un attimo una riflessione sull’uso ideologico e incivile che del poeta si è fatto.

L’orgia della Lanera, che è stata oggettivamente brava, cerca di restare fedele al lascito pasoliniano, ma va oltre. Per forza, il tema ormai si è consumato. E vai a cercare di portarlo in contesti contemporanei, con la coppia saffica che si aggira lussuriosa sul palco, ma che poi non è nemmeno quello così avanguardia, perché ormai l’avanguardia si è esaurita. Il teatro di ricerca è diventato così fine a se stesso che si finisce per applaudire solamente a cose che non si capiscono per sembrare à la page. Perché è così chic uscire dal teatro gridando ai quattro venti “bellissimo”, per poi boccheggiare afasici quando si è interrogati sul perché.

La violenza dei rapporti di potere, delle relazioni sociali, delle dinamiche malate e perverse del potere, mutuate da Pasolini stanno all’avanguardia come i discorsi di Ubu Roi o Neoplasio stanno al mondo politico di oggi. Tutti questi elementi sono un’icona da poter prendere e lasciare quando si ha voglia.

Bisogna andare oltre, uccidere il Pasolini artistico e liberarsi di questo pesante fardello paterno di fronte al quale direttori artistici, attori e critici, non sono riusciti ad affrontare un complesso edipico di spessore.

O ci liberiamo di Pasolini o finiremo col chiudere i teatri. O chiudiamo la fase adolescenziale, ribellistica del teatro, dove è tutto un NO convulso, un agitare ideologie che somigliano più ad anticaglie novecentesche; o non usciremo da questo stato di giovinezza nel quale si trova il teatro italiano. Teatro italiano che è lo specchio del paese. Un paese che è uscito dall’infanzia del fascismo, è cresciuto, anche economicamente e si è ribellato durante la sua adolescenza negli anni ’60, ma che, proprio come la generazione di quegli anni, non vuole assolutamente crescere.