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Valerio Binasco e il suo Don Giovanni in scena all’Argentina di Roma

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Dall’al 20 gennaio al Teatro Argentina in scena il leggendario seduttore, DON GIOVANNI di Molière, simbolo non soltanto dei trionfi e delle ceneri dell’eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia, nella versione diretta da Valerio Binasco, regista che ha saputo imporre una cifra stilistica di grande originalità pur nel rispetto del testo del maestro francese. Una commedia in prosa, in cinque atti, con protagonista un eroe-criminale solitario (interpretato da Gianluca Gobbi), che non teme di portare avanti la sua sfida contro Dio. Un profondo atto di rivendicazione del diritto a cercare la propria libertà. Comparso per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, è con Molière che acquisisce spessore e si traduce in mito della letteratura europea. Il 1665 è l’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una nuova, violenta risposta da parte del “partito dei devoti”. L’occasione si presenta con la sua opera teatrale, DON GIOVANNI, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. Molière seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e blasfemia. La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello (interpretato da Sergio Romano), servitore ridicolo, che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, né il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio. Ed è proprio su quegli spettatori che si concentra la regia di Valerio Binasco: «Non credo che il teatro contemporaneo debba parlar di temi attuali o adottare un linguaggio ricalcato sulla realtà contemporanea. Mi pare che niente si affacci sulla nostra vita più di certi testi che sono stati capaci di resistere al tempo e di rimanere contemporanei – racconta il regista – Mi colpisce il fatto che Don Giovanni cerchi, con i suoi comportamenti e crimini pericolosissimi, di mettere a tacere quella sorta di incubo che è nascosto in lui e che urla nella sua solitudine. L’incubo della morte: penso sia questo quello a cui si ribella Don Giovanni, che sprigiona in lui un vitalismo incontrollato, che lo porta poi a distruggere ogni cosa e ogni relazioneCon questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni».