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“Veloci-Raptor = ladro veloce” con le opere di Enrico Manera

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La storia dell’arte si fa pop e il pop diventa trash, riempiendosi di graffiti o graffi, come murali di una periferia abbandonata. Così sopra il simbolo compaiono i relativi constrasti, sopra la grande opera d’arte, invece, piccole immagini, sempre ben collegate, come figurine di un album da collezione.

Aprirà giovedì 3 ottobre alle ore 19, “Veloci-Raptor = ladro veloce” con le opere di Enrico Manera, figlio ed erede della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo. L’esposizione, che apre la nuova stagione espositiva de “Il Margutta Veggy Food & Art”, a Roma, in via Margutta 118, è voluta e curata dalla Daniele Cipriani Arte, sostenuta e ideata da Tina Vannini e con testo di presentazione firmato dal critico e curatore Maurizio Sciaccaluga (1963 – 2007). Saranno esposte 18 opere, tutte a colori, in diversi formati, nonché il ritratto di Manera fatto da Mario Schifano nel 1978, e verrà proiettato sugli schermi il docuarte “Avanguardie Discrete” di Enrico Manera.

“Velocità e dinamismo, due situazioni futuriste inconfutabili: è da qui che nasce il binomio Velociraptor-velocità – spiega Enrico Manera – La parola “velociraptor”, dal latino ladro veloce, viene qui frazionata in due parole, Veloci-Raptor. In quel trattino, insomma, si trova il senso di questa mostra”.

Madrinadel vernissage sarà Alma Manera, nipote del Maestro, che ha respirato fin da piccola l’aria contaminata dalle polveri di argilla e dai profumi degli olii dei pennelli dello Zio Enrico, tra lo studio d’arte di Trastevere e quello di San Francisco e ideatrice del progetto etico “Con il sole sul viso” a sostegno delle arti e degli artisti. La mostra sarà visitabile sino a domenica 8 dicembre. Ingresso libero, tutti i giorni dalle 10 alle 24. In occasione della mostra saranno organizzati alcuni appuntamenti con importanti critici d’arte, come Duccio Trombadori e Gian Ruggero Manzoni.

LE OPERE IN MOSTRA – Enrico Manera,nelle sue opereprende di mira anche le mayor del cinema mondiale e i principali simboli della cultura italiana e, in generale, occidentale. Poi li unisce e li riempie di altre immagini, di graffiti o graffi, di pensieri scritti di getto, ma mai senza un senso preciso. Intonando di nuovi significati che si fondono assieme, contaminando quello del soggetto principale dell’opera. Racconta, nel suo stile dissacrante e un po’ cruento, l’ingordigia di Wall Street, i capolavori di Michelangelo e di Caravaggio, peculiarità e storie di regioni e Paesi. Senza risparmiare niente e nessuno, né i giganti dell’Arte né lo star-system di oggi, citando il Vecchio per raccontare il Nuovo, mostrando l’Altro per raccontare il Sè. Enrico attacca convenzioni e ideologie, per mostrare ciò che vi nasconde.

“Nella ricerca dellautore – scrisse Maurizio Sciaccaluga le vicende recenti dellumanità, le icone che rappresentano lo status quo del mondo di oggi, perfino le figure emblematiche della storia dellarte e del pensiero, sono passate attraverso un setaccio fatto di toni roboanti e lucenti, grazie ai quali lesagerazione dello stile finisce con lo svelare lassurdità e lingiustizia profonda delle cose: lartista scava e scruta tra le debolezze umane, nelle ferite e nelle lacune del passato dellumanità, e ridicolizzando errori e orrori compie, a nome collettivo, una specie di emendatio: scaricati sulla tela, sbattuti nelle prima pagina del quadro, le colpe e i debiti possono almeno per un momento essere considerati estinti, pagati. Insomma, ci si può anche ridere sopra, seppure di un riso amaro, caustico, acre”.

LA SCUOLA DI PIAZZA DEL POPOLO – L’esperienza artistica della Scuola di Piazza del Popolo nasce negli anni Sessanta con gli artisti Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Tano Festa e Franco Angeli, che erano soliti riunirsi al Caffè Rosati di piazza del Popolo o presso la Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis. Ad essi si unirono successivamente anche Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Jannis Kounellis, Cesare Tacchi e Umberto Bignardi. Il più giovane del gruppo fu proprio Enrico Manera, che aveva aderito a tale avanguardia verso la metà degli anni Settanta.