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Un confronto con Cecilia Grasso, regista di “Al di là dello specchio”

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B in Rome intervista Cecilia Grasso regista di “Al di là dello specchio”.

Il suo documentario “Al di là dello specchio” sembra seguire il filo dell’identità come costruzione e decostruzione, come gioco da vivere ed esperire, in questo come è inserito, cosa simbolizza e cosa porta nell’identità e nel documentario questo “specchio” di cui il titolo?
Lo “specchio” è un po’ il leitmotiv del documentario; la prima volta che incontrai il gruppo
Eyes Wild Drag, chiesi a Senith cos’è che delimitasse il confine tra la loro vita ordinaria e
quella stra-ordinaria del drag e lei mi rispose semplicemente: “il confine è nello specchio”.
Lo specchio è il luogo in cui noi ci riconosciamo, in cui vediamo noi stessi, in cui
riscontriamo la nostra identità, quindi è il luogo simbolico di questa; e nel momento in cui
diventa altro da sé, lo specchio diviene un “non-luogo” simbolico, in cui queste due identità si mescolano e si confondono. Dentro lo specchio ritrovi te stessa e al tempo stesso ti trasformi in altro da te.
“L’uomo si inganna quando crede che con la maschera egli cessa di esser se stesso e diviene, in un certo senso, un “altro”.
L’uomo, per dirsi veramente tale, ha bisogno di trasformarsi in qualcosa di “eccedente” il sé; solo allora può veramente narrarsi” (“Medusa allo specchio, Maschere fra antropologia e psicopatologia, di Bruno Callieri e Laura Faranda)

In questo viaggio Lei ci porta all’interno di un mondo in cui il maschile può nascere dal femminile e questo incarnare a sua volta il maschile attraverso un gioco tra le parti in una eco pirandelliana; perché secondo Lei è importante oggi la realtà Drag? E quali sono i messaggi che questa veicola?
Il maschile può nascere dal femminile così come il contrario…a me piace chiamarla
maschilità femminile, che è la definizione che dà Judith Halberstam, nel suo libro
“Maschilità senza uomini”, un libro che, insieme ad altri, mi ha aperto le porte della teoria
queer. Io credo che sia necessario, per l’essere umano, attraversare i confini; dice bene
Senith: “c’è sempre il bisogno di essere altro, di raccontare altro”. Il drag, sicuramente, ti
aiuta a farlo; e ti aiuta anche ad abbatterli, questi confini. Ti aiuta ad oltrepassare il
binarismo di genere, gli stereotipi di genere. Comprendi meglio i corpi, i gesti, gli sguardi. E diventi padrone del tuo di corpo, dei tuoi gesti, dei tuoi sguardi; si solidifica la percezione che hai di te, quella che hai degli altri e, incredibilmente, quella che gli altri hanno di te. È una sperimentazione che ha infinite letture, proprio perché assolutamente soggettiva.

Se possiamo definire l’arte come un’urgenza che si lascia accadere, in questo l’arte Drag di quale o di quali urgenze è la manifestazione?
L’arte Drag è manifestazione di tante urgenze; come dicevo prima, è un’esperienza
assolutamente soggettiva, per cui anche qui è difficile generalizzare. Nel caso del Kinging,
ad esempio, la storia è piena di donne che si sono travestite da uomini per accedere a delle posizioni, dei lavori, dei ruoli, a loro preclusi. Visto che risponde a deli bisogni non solo artistici ma anche personali, a volte è anche solo un’esigenza individuale, di essere, punto. Senza etichette, stereotipi, spiegazioni. Essere e basta.

Lo spettatore muove lo sguardo tra la casa, la macchina, i workshop e le diverse realtà delle Eyes Wild Drag. La scelta dei diversi ambienti in cui si inserisce il documentario è una rappresentazione dello specchio stesso? E della realtà al di là di questo? Quali considerazioni hanno condotto al taglio dato ad “Al di là dello Specchio”?
Il taglio dato al documentario è venuto fuori dal documentario stesso; non mi sono imposta dei limiti, mi sono lasciata trascinare dentro le loro vite, il loro mondo, diventandone parte integrante. “Al di là dello specchio” è anche il racconto di tutto questo.

E’ possibile, nonostante l’azzardo, affermare che la realtà Drag stia alla ricostruzione della stereotipia quanto la realtà transessuale stia alla ricostruzione della propria struttura corporea? In che modo queste due realtà comunicano, se comunicano? Cosa le rende diverse e cosa le accomuna? Non credo di avere le competenze giuste per poter dire se la tua affermazione sia corretta o
meno…il drag è l’arte della performance di genere (indipendentemente dal sesso di
provenienza), accettando come assunto che i generi, maschile e femminile, siano costrutti
sociali fatti proprio da stereotipi che possono essere, per l’appunto, performati; è, in qualche modo, anche questo un attraversamento di genere (e qui forse la similitudine con la realtà transessuale), ma non “irrevocabile”, definitivo. Chiaramente può essere un punto di partenza, ma la sperimentazione sul genere non è sempre collegata con il transgenderismo.

L’’idea con cui era partita per questo documentario in che modo è stata modellata dal rapporto con Bianco, Senith e Spruzzy ? E in che modo il rapporto con le persone, di cui alcuni documentari, producono cambiamenti nelle linee del documentario stesso?
L’idea di questo documentario si è evoluta nel corso del tempo; all’inizio è stata
un’intuizione, un barlume. Non conoscevo quasi nulla del Drag, specialmente dei drag kings.
Con il tempo, accompagnata dall’esperienza e dalla consapevolezza delle Eyes Wild Drag,
non solo il progetto ha preso corpo e sostanza, ma sono cambiata anche io con lui. I rapporti con le persone producono cambiamenti all’interno del documentario se ti metti in gioco in prima persona (proprio perché cambiano anche te, il tuo punto di vista). Non è una regola fissa, ma quando accade è un’esperienza unica.
Le propongo una provocazione, spesso sentiamo parlare di un immaginario comune legato all’esperienza storico-culturale, ora mi chiedo e le chiedo se secondo lei questo stesso immaginario predominante, e nello specifico del maschile e del femminile nelle sue rappresentazioni e nel suo essere, possa esser stato determinato o influenzato in larga misura da una dimensione biologica, così che un odore tendenzialmente più forte dell’uomo sia stato trasposto in profumi più pesanti e un odore tendenzialmente meno forte della donna sia stato trasposto in profumi più delicati, o lo spazio corporeo occupato dalle donne, tendenzialmente con una struttura ossea più esile, abbia condotto ad uno stesso minor spazio dato alle loro decisioni ed al loro potere privato e pubblico. Quello che le sto chiedendo è se secondo Lei la biologia definisce il genere influenzandone le dinamiche e la struttura? Ed in che modo l’essere Drag, se presente, scardina, manipola, piega il rapporto tra biologico e culturale?
La biologia non definisce il genere, definisce il sesso. Il genere è, come detto prima,
esclusivamente un costrutto sociale e culturale. Ovviamente, in quanto culturalmente dato
ogni costrutto, ogni caratteristica, che noi attribuiamo ad un genere piuttosto che ad un altro
è relativo alla nostra società. Nella nostra società abbiamo fatto in modo che la biologia
avallasse quelle che secondo noi sono peculiarità maschili e femminili; che ne so, la forza
maschile piuttosto che la dolcezza e l’accoglienza femminile.
Questo binarismo veniva già smentito nel 1930 da Margaret Mead nel suo libro “Sesso e
Temperamento”; la Mead studiò tre popolazioni indigene della Nuova Guinea riscontrando
che le peculiarità di genere che noi attribuiamo al maschile e femminile non
corrispondevano alle loro. Questo confronto con diverse forme di civiltà ha permesso alla
Mead di dimostrare come quei caratteri che noi attribuiamo quasi “biologicamente” agli
uomini e alle donne e la differenziazione dei ruoli sessuali siano, in realtà, semplicemente
dettati dalla società in cui viviamo.
“[…] le potenzialità definite dalle varie società come femminili e maschili appartengono in
verità soltanto a un certo numero di membri di ambedue i sessi e non hanno alcun
riferimento al sesso. Non è forse logico, se si accetta quest’idea, abbandonare le
standardizzazioni artificiali delle differenze di sesso, che per tanto tempo hanno
caratterizzato la società europea, e riconoscere che si tratta di finzioni sociali delle quali non
abbiamo più bisogno?[…]”
Mi chiedi in che modo l’essere Drag scardini e pieghi il rapporto tra biologico e sociale.
Nel momento in cui sperimenti gli stereotipi di genere (o li vedi sperimentare), ti rendi
conto, appunto, che il genere è un costrutto; se ad una donna basta vestirsi, sentirsi,
comportarsi da uomo, per apparire agli occhi degli altri come uomo, è evidente che queste
non sono caratteristiche biologicamente date, ma sono costruite ad arte; è evidente che non sono peculiarità sessuali, ma di genere. Quindi nel momento in cui ti mostro che posso fare mie delle caratteristiche che secondo la società non mi appartengono, che posso
appropriarmene e passare come uomo (o donna), posso performarle, ti ho dimostrato (ed
ecco il valore del Drag) che il genere può essere anche mimato ad arte, costruito, performato e quindi, è un artefatto.