In esposizione alla galleria Art G.A.P. di Roma le opere di Mario Spada. Sono dipinti a tecnica mista, in cui l’acquerello si fonde con l’utilizzo di altre materialità dalla valenza più plastica, più densa, creando un effetto movimentato e molto dinamico.
L’artista ci guida in un percorso votato all’esplorazione della sua identità più intima e profonda. I quadri sono pagine di un diario in cui Mario Spada racconta istanti fuggevoli vissuti all’interno della propria interiorità; le immagini ci appaiono non attraverso una chiarezza limpida, cristallina, come quella con cui conosciamo la realtà esterna, che tematizziamo con idee e concetti; piuttosto, esse restano come in penombra, sopraffatte dal fluire incessante del vissuto coscienziale che, assecondato nel suo scorrere continuo, non lascia tempo alla cristallizzazione dei pensieri; allo stesso modo, la penombra simbolizza anche l’oscurità del nostro inconscio, il cui abisso profondo i raggi del sole, chiari e caldi, non riescono ad illuminare. Esso rimane impigliato in un gioco di ombre, la cui oscurità modulata crea un’atmosfera affascinante ed irresistibile.
Soggetti dei quadri sono sempre i paesaggi; la rappresentazione di questi luoghi, tuttavia, non è mai fine a se stessa. Impensabile è scindere lo spazio fisico dall’emozione che da esso si sprigiona, arricchendo con attributi inediti e surreali, quasi melodici, la percezione visiva.
Il sentimento che in particolare suscitano i paesaggi di Mario Spada sembra essere sempre quello della malinconia, un affetto lontano e vago, carico di dolce, sfumata inquietudine. Allora l’etere si tinge del rosa e dell’arancione dei tramonti, o del grigio plumbeo e minaccioso di un cielo temporalesco, le linee di contorno sono imprecise, gli elementi paesaggistici si confondono gli uni agli altri, e le tonalità sono un po’ cupe, scure, a significare e a celebrare questo senso di malinconia.
Uno dei temi su cui giocano questi quadri è il rapporto fluido e inscindibile tra passato e presente, in una linearità temporale che è libera, creatrice, progressiva, ma sempre coerente e unitaria. Il passato attraverso il ricordo si fonde nel presente, indugia e quindi lascia spazio all’apertura verso il futuro, in una trama di rimandi inconclusa e fortemente dinamica.
Occhi disegnati, infine, spuntano e qua e là nei quadri tra le stesure di colore. Sono sguardi osservatori; estranei vojeuristi che si insinuano, attenti e curiosi, nello spazio più intimo, profondo e inenarrabile della coscienza.
Giulia Quinzi