Gli applausi finali hanno decretato che la “Cenerentola”, diretta da Alejo Perez, in scena fino al 21 gennaio al Teatro Costanzi di Roma, ha superato il test più difficile: farsi comprendere dagli spettatori.
L’opera rossiniana che, insieme forse a “La pietra del paragone”, ha messo la parola fine alla rivoluzione che l’autore pesarese aveva imposto nel mondo dell’opera italiana, ha vinto, quindi, all’Opera di Roma.
In questo caso, l’assurdo diventa la cifra stilistica della nuova urgenza comunicativa. Nonostante gli ingredienti siano identici a quelli utilizzati nelle opere precedenti, qualcosa è cambiato. Non si tratta solo di una critica sociale, come per “Il barbiere”, o della preferenza per le vertigini foniche de “Italiana in Algeri”, in questo caso si vira più sulla linea de “Il turco in Italia”, preferendo il sottointeso e da qui si capisce l’importanza che hanno i personaggi di Angelina e Ramiro.
La regia di Emma Dante, che per l’occasione ha sfoderato una turbinio di colori accesi e richiami alla tradizione ottocentesca, ha lasciato che gli spettatori fossero spinti dentro un mondo di sogni meccanici. Una meccanicità che il coreografo Manuela Lo Sicco ha volutamente appesantito nei gesti della camarilla di servette che seguiva Angelina.
Sogni acidi però, perché il richiamo all’automatismo ha volutamente destabilizzato il candore che, a prima vista, emergeva dalla visione complessiva.
La bacchetta di Perez ha, certe volte, calcato troppo la mano e la sinistra del direttore non è riuscita a tenere sotto controllo il volume complessivo; tanto che, spesso, è successo che la voce dei cantanti sia finita sotto la mole del suono orchestrale.
Ha brillato, per virtuosismo, sia canoro sia recitativo, Dandini, Giorgio Caoduro, che ha trascinato il pubblico dentro il suo gioco delle maschere, divertendosi divertendo.
Josè Maria lo Monaco, Angelina, ha cantato le sue arie con maestria; la sottigliezza della voce e la possibilità di passare da un tono di remissione a uno di attacco ha fatto brillare la cantante durante tutta la serata. Accanto a lei, Don Ramiro, Giorgio Misseri, ha saputo dare piena voce all’enfasi erotica di un principe innamorato.
Don Magnifico è stato una maschera perfetta. Carlo Lepori, che a fianco di Dandini, ha tenuto banco per tutto il corso dell’opera. Da soli, entrambi, avrebbero potuto reggere benissimo l’opera intera. Un Don Magnifico che nel duetto “Un segreto di importanza” è riuscito a dare il meglio di sé. Nella sticomitia successiva si è riso di gusto. Le due sorelle, Tisbe e Clorinda, Damiana Mizzi e Annunziata Vestri, si sono fatte odiare fin da subito. Esattamente quello che doveva succedere. Una recitazione che, a volte, ha brillato più della loro voce.
Un plauso ai costumi cromaticamente visionari di Vanessa Sannino e alle scene di Carmine Maringola.