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“Erano tutti miei figli”, il duo Rigillo Dipasquale si interroga sull’ingordigia umana al Quirino

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Vent’anni di palcoscenico, dove gli atti si susseguono con intervalli regolari ma su sfondi diversi: il Don Giovanni di Brancati, il Re Lear di Shakespeare, il Joe Keller di Arthur Miller. Il legame tra il grande attore teatrale Mariano Rigillo e il regista siciliano Giuseppe Dipasquale inizia sotto il Vulcano di una Catania che rinasce culturalmente, trascinando in piazza il “maschio siciliano” che, tra il viavai dei passanti, portava in scena quella contrapposizione (ancora attuale) tra la vita sospesa del Sud e quella attiva del Nord. Erano gli anni Novanta, il teatro usciva dalle sale e si riversava sulle strade, per costruire percorsi innovativi, partecipati da un pubblico allargato e incuriosito.

Con un viaggio temporale che arriva a oggi, passando per il Teatro Stabile di Napoli e attraverso la storia d’amore più grande che si possa raccontare – quella tra un padre e una figlia – con un capolavoro eterno, il Lear, che narra la più apocalittica delle tragedie del Bardo, arriviamo a Roma. Perché è al Teatro Quirino che martedì 28 marzo (ore 21), si aprirà di nuovo il sipario su una collaborazione virtuosa, che oggi si traduce nel dramma dell’ingordigia umana di “Erano tutti miei figli”.

«Un legame, quello con Rigillo, che supera i confini del teatro per trasformarsi in vita quotidiana – sottolinea Dipasquale – dove le storie che raccontiamo prendono forma e si traducono in riflessione, in dialettiche che s’intrecciano alle più attuali e contemporanee dinamiche che spingono questa nostra società. La sua esperienza professionale travalica i confini della scena e racconta l’essenza delle tragedie moderne. La sua ricerca interiore instancabile, mi restituisce sempre una lettura nuova, una lettura “altra”, che poi è una crescita professionale costante. Rigillo conosce bene questo mestiere e lo ama, lo onora, lo tramuta in strumento per sperimentare nuovi linguaggi e scoprire aspetti ignoti del proprio sentire, lati intimi e imprevedibili dell’animo. La sua è una comunicazione moderna, che fa della parola un mezzo per creare relazioni: e la mia progettualità artistica, grazie a lui, si fonde con l’architettura dell’animo umano. Rigillo non interpreta i suoi personaggi; li ha dentro. Nel più profondo».

«Più il tempo passa e più mi viene da pensare che quello mio con Giuseppe va assumendo le caratteristiche di un sodalizio artistico: tre incontri, tre successi – continua Rigillo –  rifletto e annoto i particolari di quanto è accaduto in “Erano tutti miei figli”, ma in maniera molto più evidente in “Re Lear”. All’inizio del lavoro, Giuseppe ed io, non parliamo tanto. Ci diciamo soltanto poche cose, poche cose indispensabili.
In reciproco silenzio andiamo avanti. Avviene poi che un giorno la mia ricerca d’interprete incontra inconsapevolmente la sua regia: ed ecco che il nostro lavoro mette le ali e spicca il volo. Non posso tacere che questo avviene anche grazie a una nostra comune musa: Cicci Rossini (all’anagrafe Anna Teresa) che con silenziosa tenacia – anzi con tenacia sì, ma nient’affatto silenziosa – ci spinge caparbiamente l’uno incontro all’altro».

 

Prima martedì 28 marzo ore 21
repliche fino al 2 aprile

Teatro Quirino