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FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA, GIORNO 1: “Downsizing”, “The Devil and father Amorth” e “First reformed”

2018

La prima giornata del festival del cinema di Venezia si apre all’insegna di un filo conduttore ben riconoscibile: il modo in cui il cinema si pone nei confronti della contemporaneità. Il film di apertura, Downsizing di Alexander Payne, racconta le vicende di un terapista occupazionale, un Matt Damon perfettamente calato nel ruolo dell’uomo ordinario, che diventa quasi un Mattia Pascal contemporaneo, un personaggio che fatica a trovare la sua identità, attraversato dai cambiamenti e incapace di trarne arricchimento. La sua unica abilità sembra quella di scappare dalla realtà. Una sorta di Alice che non indugia davanti alla tentazione di ingrandirsi e rimpicciolirsi a piacimento pur di fuggire nel suo paese delle meraviglie. Il piccolo microcosmo creato da Payne, di cui il protagonista decide impulsivamente di far parte, tuttavia non insinua la curiosità, la tentazione per questa Lilliput del ventunesimo secolo che altro non sembra se non il mondo reale ma in scala ridotta. Viene a mancare del tutto l’incanto. Il processo di miniaturizzazione non riesce a far corrispondere un altro processo ben più importante, quello dell’immedesimazione dello spettatore.

La seconda voce che si aggiunge alla discussione è quella di William Friedkin, il celebre regista de L’esorcista che si esprime attraverso un documentario, The Devil and father Amorth, in cui filma l’ultimo esorcismo del famoso presbitero. Il regista si mette in gioco, apparentemente senza il velo della finzione cinematografica, rivelando le sue curiosità più oscure, proponendo una serie di provocazioni a uno spettatore la cui istintiva e cinica risata cede molto presto il passo al dubbio e all’inquietante constatazione di non riuscire a definire con certezza ciò che compare davanti ai suoi occhi. L’argomento trattato, seppur estremamente specifico, si estende ad una riflessione sul comportamento dell’uomo di fronte all’inspiegabile. Friedkin constata che il metodo più affascinante e coraggioso è proprio quello di Padre Amorth, che riesce addirittura a sbeffeggiare il diavolo e, se non a vincerlo, almeno ad ingannarlo, capovolgendo i ruoli. Il documentario è disseminato di una quasi impercettibile autoironia, di cui però non si ha mai la certezza. Dunque porsi dei dubbi, che ad alcuni potrebbero sembrare oscurantisti e quasi “medioevali” diventa qui più che mai necessario: in un mondo in cui l’orrore assume tinte sempre più fosche, è davvero così difficile credere alle forze demoniache? E poi, dove finisce il labile confine fra l’inganno, a cui spesso è associata la figura dell’esorcista, di cui padre Amorth incarna il prototipo, e la cura? Davvero la scienza è l’unica risposta a tutto ciò che non riusciamo a dominare?

A condividerne l’ambito narrativo, quello religioso e più precisamente clericale, arriva First reformed di Paul Schrader, probabilmente la più straziante delle tre opere. L’irreversibilità del processo di autodistruzione innescato dall’uomo e l’inevitabilità di gesti estremi che il mondo contemporaneo comporta sono alcuni dei principali nodi critici del film. Il regista pone una domanda a cui fa paura rispondere: Will god forgive us? È questo l’interrogativo che tormenta il protagonista per tutto il film, interpretato da un magistrale Ethan Hawke, che è stato capace di dar vita ad un personaggio indimenticabile. L’irreversibilità del processo di autodistruzione innescato dall’uomo, l’inevitabilità di gesti estremi che il mondo contemporaneo comporta. La rivelazione che ferisce maggiormente tuttavia è la traduzione della disperazione in estrema affermazione di orgoglio, il labile confine fra la speranza e lo sconforto. Il punto di unione fra due poli così opposti, è qualcosa di intangibile, di trascendentale, parola chiave per il regista, il quale ha anche dedicato a questo tema la sua tesi di laurea (Il trascendente nel cinema). Il confine fra cielo e terra sembra affievolirsi sempre di più, in questa sorta di via crucis del protagonista che non riesce ad uscire dal suo Getsemani, ereditando l’ossessione per il pianeta e non potendo sopportarne il peso che diventa insostenibile anche per lo spettatore. Uno spettatore che esce dalla sala gravato di una sofferenza che riempie gli occhi.

Alla fine della prima giornata del festival del cinema di Venezia, la realtà riesce a penetrare nel lido, che inizia a ricordare il palazzo di cristallo di Atlante ne L’Orlando Furioso, in cui lo spettatore si vede riflesso come vuole, immagina una realtà alternativa, ma spesso dimenticandosi che il cinema, con le sue lenti caleidoscopiche è un abile incantatore.

 

Mila Di Giulio