All’interno del festival Corso Polonia 2015, il 16 e il 17 giugno va in scena al Teatro India “Taglio cesareo. Prove sul suicidio” del polacco Teatr Zar.
Dei metronomi ci introducono immediatamente all’ascolto sancendo la rarefazione del tempo. Come spiega il regista, è il dilatarsi di quei due secondi che precedono l’atto del suicidio, quei due o tre secondi in cui si cammina sulla linea fra la vita e la morte perciò ad essere rappresentate sono le possibilità che si aprono in quel momento di fulminea profondità.
Jaroslaw Fret sviluppa la sua riflessione sul suicidio partendo dalle parole di Albert Camus quando diceva che: «Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga la pena di essere vissuta o meno, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo».
La scena dunque è solcata da un taglio, una ferita traboccante di frammenti, pezzi di vetro o pezzi di vite. I protagonisti cantano, danzano, suonano sopra, dentro e tutto intorno alla linea senza proferire parola. Allora la sala comincia a pulsare per la polifonia dei canti còrsi, per la musica liturgica còrsa e si riempie su motivi bulgari, romeni, islandesi e ceceni. Così tutta questa intensità si fonde insieme all’energia sprigionata dai danz-attori. C’è un pàthos che rapisce, ci tocca il cuore nel petto e ci tiene con il fiato sospeso, sulla punta delle dita, in bilico sopra un’altura, e di tanto in tanto il suono e le voci osano riportarci indietro, come alla presenza di riti ancestrali persi nella memoria dei popoli. Misticismo e corporeità allo stesso tempo.
Ecco, un’esperienza questa che, anche grazie alla grande bravura dei suoi interpreti, rischia di lasciare senza fiato.