Home teatro Al Teatro degli Audaci il “Berretto a Sonagli” dei Saitta libera l’arte...

Al Teatro degli Audaci il “Berretto a Sonagli” dei Saitta libera l’arte dall’obbligo della menzogna

1499

Cos’è Sicilia? Chi è Sicilia. Sopra ogni cosa: come si fa a parlare della Sicilia, trasformando un’isola sola, in una metafora continentale. L’arcana meraviglia che si fa penisola dello Spirito, redimendo ogni sussulto di insularità, è entrata di soppiatto sul palco del Teatro degli Audaci, grazie alla Compagnia dei Saitta, alfieri dell’arte sicula, facendo esplodere su un palcoscenico spoglio la grazia, la forza primigenia, dell’eleganza dell’eterno Pirandello.

“Il berretto a Sonagli”, in scena al Teatro degli Audaci fino al 29 novembre, presentato dalla Compagnia dei Saitta, ha il merito di rendere omaggio alla grazia di un profondo conoscitore dell’animo umano. Forse, troppo spesso reso prigioniero dei suoi luoghi comuni. Luigi Pirandello rischia di potersi spalmare su qualsiasi pane, anche rancido talvolta; questa volta, al contrario, il pubblico è rimasto affascinato dalla franchezza rustica e scintillante di questo splendido Ciampa. Così siculo nel modo di osservare, nell’eloquio diagonale, certo nell’incerto e pieno di una effervescenza mentale che rasenta l’astuzia. Salvo Saitta è un’artista che pulsa di sicilianità. Un’anfora, anzi una giara, di maestoso distacco dalla sua persona che si scioglie non in un solo personaggio, ma in dieci, cento mille altri piccoli spicchi di insularità.

Beatrice, la moglie del Cavaliere, viene tratta in inganno? Si inganna, è folle o è vittima di un silenzio che si impone. Katy Saitta è un altro splendido momento di recitazione. Vive il personaggio, lo fa suo, senza mai però diventarne schiava; si riesce sempre a vedere il frammento di umanità che lega Beatrice a Katy, facendo della seconda una persona che soffre con la prima, ma non la fa sua. Perché un attore, bravo, offre un tracciato al pubblico, non offre se stesso; perché lui o lei devono sempre essere in grado di tornare indietro.

Aldo Mangiù è un personaggio, raccoglie la parte che gli si addice e trema e suda lasciando scorrere quella corrente carsica di sorriso e divertimento che serve per rendere tutto più amalgamato. Senza Mangiù sarebbe stata una buona messa in scena, ma non un’ottima rappresentazione.

Scriveva Theodor Adorno nei “Minima moralia” che: «L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità». Allora, certo agli Audaci la Verità non si può trovare, ma si può cercare una magia liberatoria, una forza tellurica, taumaturgica e violenta, che faccia esplodere i confini della normalità per entrare lì, dove il mondo diventa Arte e si possono vedere, dire e toccare le assolute Verità.