Home teatro Barbara De Rossi recita Medea. La felicità borghese esce distrutta

Barbara De Rossi recita Medea. La felicità borghese esce distrutta

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“Che hai fatto, Medea?”. Già, cosa hai fatto Medea. Come è stato possibile trasformare così violentemente l’Eroe in “errore”. É stato un Giasone ridotto a una parvenza di se stesso, proprio come un Lear, senza il suo alter ego buffonesco però. «Sei l’ombra di te stesso» Giasone.
La rilettura di Jean Anouilh, portata sulla scena dalla compagnia “Teatro Garage”, propone una Medea inferocita. Che si ostina a non voler ingoiare la realtà. Una Medea che lotta contro la rigidità scheletrica di una borghesia povera che si arrende alla monotonia meccanica di una vita fatta solo di “affanno”.
Già Anouilh aveva abituato il suo pubblico alle sue riletture moderniste dei miti greci, quando inizia nel ’41 con “Eurydice ”. Questa Medea, incarnata da Barbara de Rossi, va oltre la semplice riproposizione; consuma una frattura tra lo ieri di un mondo incantato, di una Grecia vagheggiata, di una Grecia riesumata in una condizione di putrefazione. La consunzione di una felicità andata via, che irrita questa Medea; «Odio le loro feste. Odio la loro gioia». Dice infatti.
Medea ama. O forse ipotizza che sia amore, invece era ossessione. Medea ama. Giasone disprezza. E il gioco al massacro di una coppia divisa diventa perfetto quando la ribellione del ventre molle di questa antica “Parigi” esplode contro la straniera rea di omicidio. La collisione di un mondo che si siede, quello di Giasone, e quello che invece si ostina a dimenarsi è palpabile sulla scena. La pelle di de Rossi è tesa, sudata, macchiata dall’ostinazione a non finire in un angolo. Giasone è calmo. Sa che tutto è finito. Solo la morte dei figli lo può smuovere. La vecchia nutrice gongola tra l’incedere della fine ipotizzata e quella realizzata.
Questa Medea fa partorire l’odio agli spettatori. Perché ci si immedesima, e non solo. Si odia questa inciviltà così civile. Si detesta questa profonda commistione tra la finta grazia e la putrefazione di un linguaggio fatto solo di una superficiale gentilezza; tutto è “affanno”, e l’affanno di Giasone è sposarsi e sistemarsi, ossessionato dalla “Roba” verghiana, il bottino da mettere da parte. O l’utero da usare. Un utero che Medea usa solo per partorire odio ormai.
E’ una Medea da intuire, quasi da vedere al buio. Perché lì colpisce, solo lì annichilisce e fa sbocciare la misantropia di un mondo che non merita altro.