Progetto Domino debutta al Teatro India dal 12 al 13 dicembre con due serate dense di teatro e composte da due spettacoli ciascuna.
Fabrizio
Scritto e diretto da Manuel Capraro e interpretato da Antonello Azzarone , ci mostra la fragile tenacia del sentimento e della passione di fronte all’annichilimento dell’esistenza dominata ( forse ) in eterno dal denaro e dalla forza violenta e ripugnante dell’incombente. Nei temi e nei personaggi ispirato a La Locandiera goldoniana l’atto unico non vuole essere una relativamente semplice critica sociale, ma uno scardinamento dell’immediato e una dirompente e nobilmente lamentosa affermazione di un mondo interiore letteralmente preso a calci e gettato in bidoni della spazzatura, a loro volta calpestati dalla rabbia soggettiva. L’amore sincero e puro per Mirandolina ( qui ballerina di burlesque ) e la passione per il proprio lavoro si frappongono allora fragilmente rispetto al veleno dell’esistenza , in cui un Io non sembra esistere.
Il Rinoceronte
Diretta da Irene Di Lelio , la comedia del 1959 di Eugène Ionesco assume in questa rappresentazione le sembianze , coerentemente rispetto al discorso dello spettacolo precedente, di una feroce lamentazione rispetto agli aspetti più angoscianti e incomunicabili dell’esistente . Considerata come esponente fondamentale della corrente del teatro dell’assurdo l’opera sviscera le paure individuali e collettive attraverso l’automortificazione del linguaggio e dunque dei significanti ; il rinoceronte diventa un simulacro di liberazione da ciò che incatena l’uomo al significato , così violento e mesto.
L’amore timido e segreto di Bérenger per Daisy, i litigi con Jean ( primo a cedere alla rinocerontite) e i complessi di inferiorità verso i colleghi d’ufficio si dissolvono all’incedere della novità terribile e bellissima, e forse anche all’incedere del buio consolatorio.
Sebbene l’accostamento in successione dei due spettacoli possa sembrare ardito, i concetti e le accettazioni si delineano agli occhi del pubblico per poi dissolversi ancora una volta nel tanto dibattuto spazio buio teatrale : una storia che potrebbe certamente appartenere ad un vissuto a noi vicino viene succeduta da un importante pezzo di teatro dell’assurdo per avvicinare la macchina attoriale al pubblico.
Se , cioranianamente ( per restare vicini all’universo di Eugène Ionesco ) , la vita è il dipanarsi di un rimpianto, a teatro è necessaria forse una reazione di qualche tipo a questo, ed è ciò che attraverso questo progetto si è riusciti a fare. La recitazione (che per alcuni potrebbe essere eccessiva e sopra le righe ) , unita all’ utilizzo delle luci e della corrispondente oscurità si coniuga , pur sacrificando dei tratti di estetica, al tema portante dei due spettacoli lasciando spazio alla prosa e all’importanza della parola.
Marco Natola