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Ironico e dissacrante: La Casta Morta al Teatro Trastevere

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Il mito è il mistero, è chiudere gli occhi e abbandonarsi a una narrazione d’altri e di altro, di qualcosa di lontano e atavico, avulso da questa realtà e paradossalmente adatto a rivolgersi ad essa e alle sue mancanze. Mito è ascolto di un canto inafferrabile per poter cantare di nuovo nel silenzio che avanza: il mito accoglie e educa, trae fuori ciò che viene nascosto dalle rovine presenti. Così il mito esce allo scoperto al teatro Trastevere, all’ingresso della sala, per introdurre lo spettatore a La casta morta , conducendolo all’inizio del viaggio di ritorno di Odisseo. Cassandra, Circe, Penelope e Athena aiutano l’eroe a tornare a casa, trasportando il pubblico ad aspettare il ritorno di Odisseo, come faceva Tadeusz Kantor alla stazione di Cracovia, attendendo un eroe che sconfiggesse i Proci usurpatori e ristabilisse il buon governo.

La casta morta, in scena dal 28 febbraio al 5 marzo al Teatro Trastevere nasce come omaggio all’autore de La classe morta, Tadeusz Kantor, del quale nel 2015 ricorre il centenario della nascita. Lo spettacolo è un’opera originale, con il soggetto di Luigi Marinelli e Michele Sganga, dal testo di Adriano Marenco e la regia di Simone Fraschetti. Il preludio mitico realizzato attraverso cinque happening che illustrano le vicende di Odisseo è il contraltare alla scena dissacratoria dove domina La Casta:  il potere economico e il potere politico si mostrano in simbiosi mortale e procedono come corpo vivo ma ormai agonizzante nel trascorrere del tempo attraverso i le parole perentoriamente inquietanti e  azioni sconcertanti di un cast ( Raffaele Balzano, Marco Bilanzone, Valentina Conti, Francesca Romana Nascé, Mersia valente e Marco Zordan) che interpreta con vividezza e passione il ruolo di corpo-casta.LaCastaMorta foto 2

Il mito eterno e immortale bilancia l’inconsapevolezza della propria fine di una società gerarchizzata di  cinque parlamentari e un commesso che eleggono un presidente Fantoccio. Lo scarto tra burattino e burattanaio è nullo e la finzione diviene realtà fisica, corporea attraverso una gestualità e un movimento profondo e pervasivo. Sulle parole rivoluzionarie del Magnificat, che riattiva un senso di umanità e solidarietà ormai perduto (musiche di Michele Sganga) ciò che è attuale si mostra nella  contradditorietà di un poter che coinvolge apparentemente a cittadini per poi rivolgerli a sé: la salvezza proviene da altro, da un mito lontano che fortunatamente ritorna, come il suo protagonista.

Ironico e dissacrante La Casta Morta  spezza la parvenza e la falsità di un sistema che non regge e non si corregge, senza limitarsi alla distruzione e alla critica, ma riunendo in un universo mitico e simbolico una possibilità di salvaguardarsi e rigenerarsi, che tuttavia, aleggia nel possibile senza tramutarsi mai in certezza del tutto rassicurante.


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