Corpo e mente, carne e spirito sono dimensioni dell’essere umano che appaiono poste l’una contro l’altra: l’unico tessuto in grado di avvolgere in un’unica trama astratto e materiale si rivela essere il testo, fatto di parole. La scrittura dà forma, spazio e tempo a un pensiero che altrimenti rimarrebbe privo di consistenza. Raccontare è plasmare una nuova vita e lo scrittore vive la propria esistenza nel tentativo di crearne di nuove e così si viene a creare uno strano circolo vitale: dalla vita dell’artista alle vite prodotte dalla sua arte. Un equilibrio precario, un cerchio che richiede una grandissima abilità per essere perfetto e racchiudere in sé senza soffocare la vita che vive e che fa vivere attraverso le sue parole: è necessaria una comprensione profonda e pervasiva della realtà per poterne creare di nuove.
La scrittura nella sua fissità corre il rischio di cadere nell’isolamento: per esprimere la vita che racconta deve farsi vita: la scrittura viva è il teatro, che in rare occasioni riesce a restituire un racconto che raccolga e preserva l’arte della parola. Al Teatro dei Conciatori fino al 12 febbraio, la Compagnia della Luna con Luca de Bei in Kafka il Digiunatore dà vita all’arte di Kafka e ricrea una propria nuova arte intensa e vibrante. Lo spettacolo è l’emblema della scissione apparente tra l’artista e la propria arte: un’opposizione che viene risolta dalla ricomposizione scenica dell’attore nonché regista che interpreta con coinvolgente passione Franz Kafka e il Digiunatore.
In “Kafka il Digiunatore” lo scrittore tedesco è allo stesso tempo il protagonista del suo racconto “un digiunatore”, tra i pochi che lo stesso Kafka volle che fossero pubblicati. Nel 1924 Kafka è in fin di vita nel sanatorio di Kierling: attraverso il monologo impetuoso e struggente di De Bei i ricordi di un passato doloroso e nostalgico, tra memorie della casa paterna e l’amata città di Praga fluiscono senza requie. Ciò che resta sono le bozze da correggere e mandare all’editore del suo ultimo racconto: un digiunatore è chiuso nella una gabbia della esistenza ormai allo stremo, ma porta avanti con orgoglio la propria scelta, aggrappato con caparbietà al suo dimagrire fino ai limiti dell’esistere, fino al raggiungimento del sottile confine tra la vita e la morte, nella distonia tra una professione che lo rende un fenomeno da baraccone e la sua professione misteriosa e imperterrita di non volere modificare il proprio status. Kafka si immedesima con il protagonista del suo ultimo racconto, che lo porta a rispecchiarsi nella fine che lo sta consumando.
Luca De Bei concilia la struggente mimesi tra l’artista e il racconto prodotto dalla sua arte sublimando la disperazione della fine che accomuna Kafka e il digiunatore, riunendoli in un’interpretazione densa e pregnante di pathos che dà vita a “Kafka Il digiunatore”.