Quando una cozza si allontana dallo scoglio dove è nata, finisce col morire. Questa è la morale più semplice da tirare fuori dalla lettura de “I Malavoglia” di Verga. Ed è anche la morale semplice che ci viene offerta su un piatto d’argento dalla superba messa in scena con Enrico Guarnieri e Progetto Teatrando, con la regia di Guglielmo Ferro.
“I Malavogia”, al Quirino di Roma fino al 20 novembre sorprendono, ma non troppo. Il pubblico romano ormai ha dato credito al nome di Guarnieri, che già aveva fatto il pienone con “Il Consiglio d’Egitto” a gennaio di quest’anno.
Anche questa volta Guarnieri riesce a dominare il palcoscenico, con una maestria attoriale che fa emergere, come dal nulla, un animale spinto alla disperazione come ‘Ntoni. E rimanendo in scena per due ore piene, senza una virgola fuori posto, si dimostra quel grande attore che è.
Non ci sono meccanismo recitativi o sottigliezze dialettiche in questa ottima messinscena, solamente una bravura assolutamente eccezionale.
Con lui la compagnia tutta si è mossa con estrema grazia sul palcoscenico. Senza nulla togliere a nessuno l’organico ha respirato come un tutt’uno fin dalle prime battute.
E su una scenografia ridotta all’osso, ma immaginifica, come la famiglia stessa, la storia dei Malavoglia diventa la storia che tutti i presenti, pur già conoscendola, rivivono di nuovo. Soffrendo con loro. Perché le emozioni passano al pubblico, tutte. Senza leziosità.
La musica, di Massimiliano pace, insieme ai costumi di Dora Argento contribuiscono, ancora più efficacemente, a riportarci nella Sicilia immaginata, ma non troppo, sia da Verga sia da Guarnieri e dal regista.
E’ uno spettacolo che entusiasma anche chi non riesce proprio ad amare il verismo italiano. Ma una cosa è sicura, è uno spettacolo raffinato, elegante e soprattutto emozionante.