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L’avvenire del dramma nella riflessione dell’avvenire: Arthur Miller al Teatro Quirino

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Riflettere: flettere nuovamente. Come? Lo specchio riflette l’immagine nella propria rigida bidimensionalità restituendone un doppio immutato. Riflettere tuttavia non significa formare una copia, ma rendere  flesso qualcosa che ha perso la propria sinuosità irrigidendosi. L’irretimento di qualsiasi genere necessita di essere sviluppato, riflesso, come sbloccato dalla propria fissità. Riflettendo, un ripiegamento interiore può spiegare ciò che è divenuto immobile, perdendo di fluidità vitale, restando privo di senso perché fermo, senza direzione. Riflettere dunque per restituire alla flessione, alla dinamica, ridonar vita a un pensiero, un’emozione, una situazione, come il teatro riflette sulla scena le parole del drammaturgo, revitalizzandole, strappandole dallo spazio vuoto della pagina bianca per renderle vita. L’attore compie la riflessione nel ripiegamento in sé stesso, riflettendo su di sé le battute per restituirle al pubblico. La riflessione dell’attore svincola la parola dal discorso, da ciò che una volta detto,  decorre nell’oblio come il suono della voce si perde  diventando muto nell’aria e le dona vita continua, attualizzandola nell’azione che impressiona il pubblico, lasciando un segno, un significato che perdurando si moltiplica tra gli spettatori. il teatro vive nel futuro delle sue opere, che si forma nella riflessione di parole altrimenti destinate alla fissità dell’inchiostro o dei pixel sui dispositivi di lettura.

“Un’opera destinata a un teatro dell’avvenire”- così Arthur Miller definì il suo prima successo “Erano tutti miei figli”, cogliendo la motilità dell’arte teatrale e rendendo le sue opere riflessioni inesauribili. La regia di Giuseppe di Pasquale riflette a sua volta il dramma milleriano al Teatro Quirino dal 28 marzo al 2 aprile. Dalla traduzione di Masolino D’Amico Filippo Brazzaventre, Barbara Gallo, Enzo Gambino, Liliana Lo Furno, Giorgio Musumeci, Ruben Rigillo e Silvia Siravo propongono la società americana del secondo dopoguerra riprodotta nel microcosmo di un nucleo familiare infranto, allegoria di un’etica e di una moralità destinate a essere sopraffatte dalla logica del profitto, del successo economico e del prestigio sociale. Riflessione ennesima di un’opera in cui l’attualità si rispecchia nella  profezia del grande scrittore statunitense attualizzata da una recitazione perfettamente consona a citare nuovamente in giudizio la corruzione sociale  di tutti i tempi, conducendo la riflessione e inducendo il pubblico ad essa, per riscoprire la vita delle azioni, dei gesti, delle emozioni sedimentate nelle parole nell’avvenire riflettente del teatro.