Home oltre Roma “L’Isola degli Uomini” nel mare della memoria, in occasione del 25 aprile...

“L’Isola degli Uomini” nel mare della memoria, in occasione del 25 aprile – Recensione

1285
Stefano Baffetti foto di Attilio Brancaccio
Stefano Baffetti foto di Attilio Brancaccio

di Paolo Verlengia

Tenutosi in occasione del 25 aprile 2016, al Teatro Florian Espace di Pescara per “Teatro d’Autore”, lo spettacolo “L’Isola degli Uomini” di e con Stefano Baffetti rappresenta soltanto l’ultima occasione, in senso cronologico, di una new wave ormai classica del teatro italiano, ispirata al valore della memoria storica e basata sul rito del racconto, da cui si è originato il fenomeno del teatro di narrazione con i suoi gloriosi araldi (da Baliani a Paolini e Celestini).

Come in tutte le tendenze, l’originalità e la purezza della singola performance viene messa a rischio dalla presenza di modelli collaudati, ma è proprio su questo punto che lo spettacolo di Baffetti rivela il suo peso specifico. Il teatro di narrazione si lascia attrarre dall’impulso di affabulare lo spettatore, ed il narratore assume di norma un ruolo morale, quello di difensore — a volte dichiarato, a volte dissimulato — di un confine netto tra bene e male, buoni e cattivi, giusti ed ingiusti.

Ne “L’isola degli Uomini” tali rischi strutturali del genere vengono ostacolati con lucidità, benché lo spettacolo presenti tutti i punti di forza del miglior teatro di narrazione. Stefano Baffetti, che è anche autore del testo, riesce a divulgare una storia preziosa quanto sconosciuta ai più, quella di Don Ottavio Posta e di un gruppetto di umili pescatori del Lago Trasimeno durante la Seconda guerra mondiale. La lezione di coraggio e di dignità, che caratterizza anche questa pagina “minore” della resistenza italiana, fluisce attraverso un racconto che sa intrattenere e finanche divertire, oltre che toccare e colpire, come nella migliore tradizione del genere.

Ma in alcuni snodi ben riusciti emerge evidente una determinazione a fuggire dalle formule rassicuranti o dagli slogan efficaci. L’unica lezione preziosa che si può serbare dalle storie estreme non è quella del coraggio dimostrato dai singoli, quanto la consapevolezza del male e della sua origine pienamente umana.

Lo spettacolo si adatta quindi alle diverse tipologie di pubblico, offrendo un materiale versatile sul piano stilistico, depurato da ogni intento didascalico, dove la luce della speranza si fa largo solo attraverso la battaglia con l’oscurità più tetra e la paura più profonda.