Alessandro Vellaccio
Al Teatro Argentina di Roma, spazio fuori dal tempo, si attraversano diverse epoche, ognuna confusa nell’ altra, avvolti da una nebbia di ottimismo, incarnato dal Candide di Voltaire, tragicamente disincantato dalla lettura di Mark Ravenhill, in scena fino al 13 marzo.
Candide, interpretato da Matteo Angius, bello, sensibile, giusto, forse un po’ ingenuo è l’ incarnazione del “pensiero positivo”, malattia dell’ occidente – scrive Ravenhill – che porta ad un individualismo estremo, la competizione, la totale perdita di valori. Ciò che rimane è l’ ambizione del successo. Un successo del tutto materiale e consumistico.
Questo atteggiamento che tutto debba andare sempre per il meglio, non fa vedere le cose per quello che sono. E’ questa la denuncia di fondo dell’ autore inglese , leader indiscusso della generazione dei “nuovi arrabbiati”. Fabrizio Arcuri tiene fede al contrasto cosmico fra ottimismo e male necessario, fra commedia e tragedia, rappresentando Candide in un gioco scenico di teatro nel teatro di gusto Shakespeariano. Cinque scene e due storie corrono parallele, una nel passato l’ altra nel presente che alla fine si incontrano, spiega il regista, in un probabile futuro come prospettiva che arriva al suo traguardo e si volta indietro per vedere da dove era partita e quale in effetti, ora, ne sia il risultato.
L’ intera opera è accompagnata dalla voce e dal violino di H.E.R. che incanta e completa la cornice scenica. Arcuri, in questo spettacolo, dipinge dei quadri ricchi di metafore che rimandano all’ immediato presente e lasciano speranze per il futuro. Come conferma l’ autore inglese, calza alla perfezione l’ interpretazione del fondatore e regista della compagnia della Accademia degli Artefatti, che nell’ ultimo atto mette in scena una Cunegonde quattrocentenaria, donna amata da Candide ed emblema della ricerca della felicità, che rappresenta l’ Europa ed il protagonista, il “pensiero positivo”, mentre si rincorrono per darsi un bacio. In più, appare inoltre efficace la scelta di esasperare, in perfetto stile Ravenhilliano, un tipo di violenza, più astratta forse ma non meno pericolosa e soprattutto vera, espressa dalla nostra società. E’ il diciottesimo compleanno di una adolescente arrabbiata con sé stessa e quindi con il mondo; dopo aver taciuto ed ascoltato passivamente una lettura su sé stessa da parte di tutta la famiglia, decide di uccidere il racconto e con l’ uso di una pistola compiere un omicidio di massa, sparando a tutti gli invitati. La sua follia termina con la ripresa dello sterminio dal cellulare , convincendosi che in quest’ atto consista la condivisione sociale e trovando quindi una giustificazione irrazionale all’ accaduto. L’ unica a salvarsi è la madre che incidentalmente spara alla figlia. La ragazza riapparirà vestita da strega sul palco declamando il finale dello spettacolo, esortando ed invocando un bacio da Candide.
L’ effetto di luci è barocco ed aiuta lo spettatore a focalizzare le scene. La scenografia: strada con cassonetto, un hotel, due stanze spoglie, seguita da un live visual splatter quasi Tarantiniano, traduce lucidamente la scrittura cruda e “violenta” di Ravenhill. Una nota di merito spetta a Lucia Mascino che con grande eleganza teatrale aiuta a far fluire l’ intreccio.
Si conclude con le parole dello stesso Arcuri: «In fondo tutto si consuma sempre in quello spazio che si crea tra ciò che siamo veramente e quello che vorremmo essere e quindi come ci rappresentiamo. E’ la regola del teatro moderno che in Shakespeare ha un suo fondamento. E Ravenhill ci gioca con Shakespeare, con Candide e con noi, perché sa bene anche lui che le regole il teatro le ha mutuate dalla vita».