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Mozza: un’ esistenza alla deriva e il suono del mare

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Come cani dinnanzi al mare

Mozza al suo ultimo giorno al Teatro Studio Uno mostra tutta la sua struggente bellezza sulle vie di una storia raccontata tra le onde del mare, un dispiegarsi di ricordi che portano immagini come fossero pesci tra le reti dei pescatori di un tempo, tra di loro uno, il nonno di Mozza, sarà un eterno ritorno a cui la nipote ci condurrà raccontando la propria infanzia e il proprio tempo presente.Mozza_ 23-26 febbraio_ 2017_Teatro Studio Uno_Roma_foto1

Claudia Gusmano riesce con la propria passione, con la propria arte a far emergere le grida di un’esistenza alla deriva, e con essa il suono del mare, il suo essere accogliente, il suo essere tempesta;  Mozza è una donna  che ha scelto l’oceano, e con questo la solitudine, una donna che ha scelto di muoversi lontano dai giudizi del suo tempo e della sua terra, una bambina che intrisa di quell’acqua salata vissuta col nonno – riprende il largo, ergendosi su una barca che solo più tardi si rivelerà essere senza timone.

In mare non ci sono punti di riferimento, e destra e sinistra, appaiono senza senso, così a volte l’esistenza, quella che Mozza ci mostra – stanca e sfiancata –  mentre si ritrova a dialogare con un Gabbiano, vecchio e grasso, preferibile a qualsiasi essere umano.

In questo dialogo con le onde, in questo silenzio stridente, in questa scelta lontana quello che Claudia Gusmano ci racconta è l’esistenza nel suo rapportarsi a se stessa, nel suo volgersi a Dio, e al mondo; è la ricerca di chi si è, del proprio destino, è la ricerca del Dio presente in ogni cosa, assente in quelli che si tirano indietro dinnanzi al proprio volto, alla propria chiamata.Mozza_ 23-26 febbraio_ 2017_Teatro Studio Uno_Roma_foto2

Una regista, una sceneggiatrice e attrice dalla bravura formidabile appannaggio di chi ha dentro di sé un fuoco vivo, una passione immortale, un richiamo forte – in questo spettacolo quello delle onde del mare, del suo odore, dei suoi racconti, delle sue forme, dei suoi abitanti altrimenti impossibili da richiamare e raccontare; un testo forte, denso, intriso di senso e di ricerca dello stesso, un monologo a tratti umoristico, a tratti dolce e arrabbiato; un dialogo con Dio, con i compagni di viaggio, con sé stessi che mostra nel suo incedere tanto la gioia quanto la frustrazione e la resa finale.

Uno spettacolo riuscito pienamente non solo per la potenza del testo ma anche per la scenografia piena – sulle corde del testo, di Martina Picchioni e Letizia Cascialli; affiancate dalle luci calde e dai bagliori creati da Michelangelo Vitullo.

In quest’opera, una goccia di quella bellezza che si disperde nell’oceano, un racconto che meriterebbe un seguito e non solo un’ultima replica romana.

Joele Sahel Schiavone