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Nei meandri intricati dei pensieri di Molly Bloom

1972

La parola è segnata dal vuoto della pagina bianca o dai respiri di chi la pronuncia: vive di una mancanza costitutiva che necessita di altro per essere colmata .

La parola che diventa dialogo è il passaggio della parola attraverso  una parola diversa, ma immersa nel medesimo nulla per trovare una via di fuga che sovverta l’ordine di un vuoto chiuso in se stesso. Quale direzione può avere un monologo? Come dare un senso a un flusso di parole costrette nella frammentata ripetizione di un tono che perde progressivamente vigore, centrifugato dal vortice di una voce monocorde? Per  evadere da un unico punto di vista, cercare un accordo che faccia progredire è operare una frattura: il libero fluire dei pensieri è l’inganno del mulinello invisibile nel mare apparentemente piatto, che trascina inesorabilmente nell’abisso senza fondo. Uscire dalla costrizione di un pensiero solo è possibile estremizzando la frammentarietà inevitabilmente  insita nel parlare, ma dissimulata da parole che fluiscono passivamente solo sfogando la propria forza.  Il monologo può sciogliere il proprio intrico ermetico a patto di farsi molteplice per riguadagnare la capacità di esprimersi, bisogna colpire nel segno e centrare il cuore arido di parlarsi addosso che affossa.
Bersaglio su Molly Bloom è la spettacolare trasposizione teatrale del dramma dell’incomunicabilità: al Teatro Vascello dal 14 al 19 marzo Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa  mirano  all’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce in una performance di straordinarie sensibilità artistica. La regia di Marco Isidori si addentra nei meandri intricati dei pensieri appassionati di Molly Bloom per restituirli nel loro complesso avvicendarsi , cogliendo la cifra fondamentale dello stream of consciouness joyciano: il rischio di una riflessione inesausta tendente a un ripiegamento che si traduce nel silenzio della non comprensione.Bersaglio_su_Molly_Bloom_1 Comprendere è toccare, afferrare insieme: capire non basta, è necessario carpire, agguantare con forza ciò cui si tende nella conoscenza. La teoria del pensiero viene agita dalla pratica abile degli attori: Francesca Rolli, Valentina Battistone, Virginia Mossi, Daniele Nevoso, Margaux Cerutti, Paolo Oricco, Maria Luisa Abate e Stefano Re  e  Marco Isidori stesso sono lo spiraglio per un racconto a spirale dove l’originale tessuto narrativo del monologo viene frammentato  nella una pluralità di voci, che danno vita a un fluire organico di pensieri prima irrigiditi. La scenografia di Daniela Dal Cin e le tecniche di Sabina Abate producono una riuscita traduzione scenica di una costrizione avviluppante che necessita un’evasione immediata.  Il monologo si pluralizza in otto voci recitanti dirette dallo stesso regista ( in scena come direttore di un’orchestra) e reindirizzate verso un’ascesi parossistica, che non si limita a riprodurre un meccanismo narrativo, ma produce un’esaltante commistione espressiva. L’esito finale riesce a commuovere, smuovendo la parola con una passione sinestetica che si coaugula in una musicalità improvvisa, per far esplodere la gabbia della grammatica delle parole, aprendo a una nuova logica di vitalità inaspettata.