Un Pirandello tutto da vedere quello andato in scena al Teatro Eliseo, in cartellone fino al 24 gennaio, per la regia di Gabriele Lavia. “Sei personaggi in cerca d’autore”, l’opera più enigmatica del lavoro pirandelliano nella messa in scena di Lavia assume contorni cinematografici. Con delle allusioni a un gotico alla Tim Burton nei costumi di Andrea Viotti, l’Italia anni ’20 viene immortalata con dei colori lividi e spenti, proiettando sulla sala una atmosfera liturgica e dissacrante.
Ogni singolo dettaglio della rappresentazione viene elaborato con cura, dal trucco alle acconciature della compagnia, nulla viene lasciato al caso.
La regia di Lavia si concentra sull’azione. È, in effetti, un Pirandello molto movimentato. Molte le figurazioni collettive che sembrano voler iscrivere, forzatamente in alcuni casi, la recitazione in un ballo di gruppo.
Anche il lato comico dello spettacolo è assicurato dalla presenza del capocomico che tiene la scena in pugno; senza mai esagerare, calcando la mano con un tono quasi machiettistico senza però scadere nello stereotipato. La compagnia di personaggi si fa valere, anche se a volte il “gridato” o il pianto prendono troppo spesso il sopravvento.
La profondità del testo di Pirandello non lascia spazio a nessuna lettura innovativa di un capolavoro che, a conti fatti, rischia di aver già detto tutto. Eppure, nella visione di Lavia, la realtà non solo si confonde, ma tra i tagli di una scenografia che cade a pezzi, anzi che non esiste, si insinua una rilettura di una realtà cangiante, smerigliata, seppur screziata di tonalità oscure, che vieta al pubblico di sentirsi al sicuro dentro la dicotomia realtà-finzione. Tra il verosimile e il vero, Lavia ci ha piazzato una potenza oscura. Una sorta di Chaos, dal quale emergono lamenti incestuosi di colori lividi che delineano un presente a tratti gotico e surreale; un presente che non si declina mai verso un lieto fine, ma che sibila costantemente un pericoloso sberleffo.
Se Benjamin avesse assistito a questo spettacolo, non avrebbe trovato fuori luogo, sulla scena, un suo personalissimo Angelus Novus, che non lascia traccia e che non riesce a costruire qualcosa prima di un plausibile futuro. «L’angelo della storia deve avere questo aspetto – ha scritto -. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi».