Andato in scena il 25 febbraio al Florian Espace, Pescara
Dopo Samuel Beckett la drammaturgia non è stata più la stessa, ma anche la regia e soprattutto il modo di pensare il teatro si sono trasformati in qualcosa di diverso, di più moderno, varcando un punto di non ritorno che non concede deroghe, se non la post-modernità e la nostalgia.
Persino le tante riscritture e rivisitazioni dei classici che si sono affollate nel teatro contemporaneo possono leggersi come l’effetto di una iniezione di veleno beckettiano instillata nelle colonne solide della tradizione. “Finale di Partita” è il testo che sembra chiudere non solo un’epoca, ma un reale spirito di fiducia nelle forme di cui la rappresentazione si compone: l’autorità del testo, dell’attore, del regista sembrano definitivamente destituite.
Crea dunque curiosità la parabola ancora in ascesa dell’allestimento curato da Roberto Negri nel 2014, quando raggiunse la finale del Roma Fringe Festival. Beckett non si può riscrivere, tradire o rivisitare, eppure c’è ancora del margine per l’azione di chi lo riporta in scena anche nell’anno in cui trionfa il concetto della “post-verità”. La regia di Negri mostra principalmente questo dato, giocando senza forzature ad illuminare gli aspetti giocosi e la teatralità elementare che il testo effettivamente contiene, lasciandosi sedurre poco dalla tentazione di sottolineare il doppio piano dove si annidano i significati metaforici e le interpretazioni colte che sembrano dovute alla grandezza del genio di Samuel Beckett.
La scena ha l’aspetto sciatto di un magazzino cencioso, più che la desolazione di un contesto post-atomico a cui spesso è stata paragonata la situazione scenica di “Finale di Partita”. Sportelli e ripiani insospettabili ottimizzano gli spazi angusti, percorsi dal movimento costante di Clov, quasi un satellite dell’immobile Hamm, rigorosamente in posizione centrale.
Attraverso la sua interpretazione, Roberto Negri sovrappone al quadro complessivo la figura di uno “Hamm-regista”, con l’azione che si trasforma nella prova di uno spettacolo perennemente in progress. La tensione contraddittoria che lega Hamm e Clov diventa il terreno per scaramucce dove i tempi teatrali si esaltano. Certo, era necessaria una storia attorica come quella di Negri e Latorre -entrambi passati attraverso la tecnica della Commedia dell’Arte ed il lavoro corporeo di scuola russa- per sviscerare con tanta convinzione quell’aspirazione alla semplicità a cui Beckett aspirava.
Clov, oltre che orfano servile in cerca di una autorità paterna cui sottostare volentieri, è un solerte servo di scena che sa stare alle lune di un regista-demiurgo dai tratti stereotipatamente dispotici: amministra la consolle cambiando l’illuminazione sul palco, controlla il rispetto del copione, prende e sposta oggetti ed attrezzi. Fantocci e luci della ribalta colorano e riempiono l’affresco, inscrivendo il tutto nella cornice di un numero da clown.
Paolo Verlengia
FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett
con Roberto Negri e Vito Latorre
Regia Roberto Negri
Aiuto Regia Alice Mele
Scene e Costumi Rossella Ramunni e Davide Sciascia
Organizzazione Flavia Ferranti
Assistente alla Regia Gabriella Altomare
Luci e Fonica Antonio Repole
Produzione: Tiberio Fiorilli / Officina Dinamo / Onirica
Florian Metateatro, Stagione 2016-17 “Teatro d’autore ed altri linguaggi” / “Classici Contemporanei”