Buio in sala. Lo spettacolo inizia e tutto il pubblico rimane ipnotizzato, incollato alla sedia. Rimarrà lì incantato, fuori dal tempo, fuori dallo spazio, fino a quando le luci si riaccenderanno. Questa è la magia che opera Valter Malosti nel suo spettacolo “Se questo è un uomo”.
Confrontarsi con un testo così evocativo – con la forza linguistica di Primo Levi – senza esserne sopraffatti, rappresenta una grande prova artistica per un regista. Malosti riesce. Con l’aiuto di Domenico Scarpa, lima e riduce l’opera memorialistica di Levi, mantenendone saldi i passaggi fondamentali, per poterla riportare sul palcoscenico. Risalta l’uso della parola straniera, tedesca, dura, che colpisce lo spettatore come il calcio di un fucile, spingendolo nel lager teatrale, delimitato da voci, rumori, musiche che si mescolano come filo spinato. Il progetto sonoro, curato da Carlo Boccadoro, dettagliato e pungente, fa da contrappunto all’inarrestabile monologo di Malosti, diventando un elemento fondamentale dello spettacolo. Il vero protagonista non è solo sul palco, ma riempie tutto il teatro: la parola; la parola in quanto trasmissione del sapere, di emozioni, in quanto identità, come elemento accumunante o di divisione. La scenografia, semplice e tetra, il dinamico disegno luci, Antonio Bertusi e Camilla Sandri che si muovono come fantasmi sul palcoscenico, tutto concorre a dare volume e portata al verbo di Levi, che diventa concreto nella mente dello spettatore.
Malosti e Scarpa lavorano su Levi da 9 anni, cercando di sviluppare quella che definiscono “potenza acustica del testo”, per riportare in scena la profondità artistica dell’autore, spesso trascurata.
In questi giorni di confusione politica e ideologica (dove Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, è sotto scorta per minacce), è facile cercare di politicizzare uno spettacolo; mentre Malosti si attiene alla volontà di Levi nel riportare una semplice e oggettiva testimonianza, senza piegarsi a una morale pedestre.
Lo spettacolo è un racconto mitologico – nel senso che si appropria di un linguaggio mitico – del lager, discontinuo, che trova la sua forza travolgente nell’esperienza straziante dell’autore di razionalizzare la propria esperienza. E così razionalmente, viene chiesto allo spettatore, semplicemente, se questo è un uomo.