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Un giardino multiforme, quasi un teatro

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AttoDue e Murmuris di nuovo insieme con “Il Migliore dei Mondi Possibili”

La scena seducente, nella sua semplicità quasi geometrica, è un tratto non nuovo per la cifra stilistica di AttoDue, ma l’effetto sembra raggiungere un grado superiore ne Il Migliore dei Mondi Possibili, l’ultimo allestimento della compagnia di Sesto Fiorentino. Partiamo infatti dall’ambientazione: il sontuoso giardino di una corte francese pre-rivoluzionaria, dove quattro attrici al soldo della reggente provano, attendono l’apertura del sipario ed infine si esibiscono nel loro cavallo di battaglia, l’adattamento teatrale del Candide di Voltaire.

Ma che cos’è questo giardino immaginato da Magdalena Barile, autrice del testo, se non una ambiziosa materializzazione dell’Eden ed una non meno ardita idealizzazione del mondo, realizzata da chi regge l’ordine e detiene il potere? Qui per gli appassionati si diparte un ponte che collega con il lavoro precedente di AttoDue, ovvero la messinscena de Le Regole del Saper Vivere nella Società Moderna di Lagarce, dove la presenza ordinata e maniacale di fiori e piante sapeva così tanto di artificio quanto poco di naturalezza, a conferma di una lavoro di ideazione rigoroso che la compagnia toscana fa precedere ai singoli progetti della sua produzione, a prescindere dalle collaborazioni con drammaturghi o registi esterni.

La regia, per l’appunto, qui è firmata a quattro mani da Simona Arrighi e Sandra Garuglieri, splendide protagoniste (ed antagoniste) in scena accanto a Laura Croce e Luisa Bosi, a loro volta brillantissime rappresentanti della compagnia fiorentina Murmuris, che da qualche anno intesse con AttoDue una collaborazione assai fruttuosa. Il quartetto artistico che si ottiene, contribuisce a costruire una polifonia geometrica, come gli angoli di un quadrilatero in cui la forma stessa del giardino si replica nella struttura drammaturgica. Il bianco dominante di scenari e costumi, oscilla perennemente tra l’austero ed il luminoso, propendendo però a favore del secondo segno grazie ad una recitazione dal ritmo scoppiettante, in cui palpita in controluce il passo rocambolesco del testo di Voltaire.

Ma in questo giardino caleidoscopico, fatto di stratificazioni e costruzioni concentriche, nulla è come appare, o soltanto come tale: la leggerezza dei dialoghi passa attraverso una performance attorica di notevole difficoltà ed energia, mentre il divertimento porta in sé la chiave per un’analisi più profonda, annunciata nel sottotitolo dello spettacolo (“Commedia filosofica per quattro  giardiniere”). Come nella migliore tradizione del teatro di impegno politico, l’ironia è lo strumento che crea la distanza necessaria alla partecipazione attiva e ragionata dello spettatore, quella che viene meno quando si innesca il coinvolgimento emotivo e l’immedesimazione con i personaggi.

Così, anche la trama della commedia meta-teatrale, che avvicina illusoriamente il pubblico alle attrici sul terreno di un al di qua scenico dove scimmiottare un voyerismo da reality show, non è che cornice esteriore per una riflessione sul potere autoritario, o meglio sull’istinto tutto umano che determina una fuga dalla libertà. Tuttavia, proprio quando ogni meccanismo pare svelato, Il Migliore dei Mondi Possibili si concede ad un’ultima trasformazione di senso, attraversando e sussumendo i mille cicli di morte e rinascita subiti dal suo giardino, ora spettacolo per gli occhi di una natura addomesticata, ora palcoscenico en plein air per attrici, per fuggiasche e cortigiane, ora prosaico orto da concimare in accordo con gli umori degli elementi.

In fondo all’ultimo effetto spettacolare, ciò che rimane allo spettatore è la sensazione duratura di una rivelazione che ha per oggetto la medesima arte del teatro, fatta di corpo non meno che di aria, di visione inenarrabile, come un concerto di violini trasparenti agitato da otto braccia in vesti bianche.

Paolo Verlengia