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“Due partite”, allo Jovinelli il mistero dell’esser donna: cinica, lavoratrice, santa o sguattera?

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Come può un uomo parlare di uno spettacolo sulle donne, scritto e diretto da una donna? Forse tutto. Purché non si finisca a scrivere di banalità.
All’Ambra Jovinelli, il 12 novembre, è stata la serata del debutto dello spettacolo di Cristina Comencini: “Doppia Partita”. Un cast assolutamente perfetto per la parte. La cinica stronza, la fantastica sognatrice, l’illusa che ostinatamnte finge e la novella. Tutte magistralmente interpretate da Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Giulia Bevilacqua.
Il quartetto di donne, proprio come un quartetto d’archi, intona ognuno la propria singola melodia, che ben si acconcia, però, a quella di tutta la partitura. Per una di loro si può dire: «L’immaginazione delle donne è molto rapida: balza in un attimo dall’ammirazione all’amore, dall’amore al matrimonio». Non poteva definire meglio di così Jane Austen la perfetta parabola di frustrazione del personaggio che finisce intrappolato in un matrimonio scandito solamente dalla nascita dei figli. Una sinceramente brava Paola Minaccioni. Che riappare nel secondo tempo nella veste di una donna in attesa di uno scopo.
Anche la fanatica cinica, Caterina Guzzanti, pur tuttavia volendo rivivere una vita piena d’amore finisce invece in una sordida piana coscienza grigia. La novella, Giulia Michelini, sta zitta e trema, E la donna rinunciataria, Giulia Bevilacqua, vivrà per interposta persona una gioia successiva solo grazie al successo artistico della figlia. La regia di Paolo Rota è sarcasticamente orientata a far sì che la battuta abbia la sua giusta sottolineatura. Senza mai cadere nel manieristico dà alle attrici l’occasione di poter farsi valere con l’uso dell’arte vocale piuttosto di quella fisica.
Il tempo passa, e le figlie si incontrano, di nuovo, per il funerale di una delle loro madri. Questa volta le loro vite sono lo specchio o l opposto di quelle delle madri. E i maschi? I maschi sono assenti. Per definizione, forse anche un po’ per preconcetto. Il maschio-mammo viene sbeffeggiato, forse opportunamente. Del resto aveva ragione Simone de Beauvoir: «Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità». L’unico maschio che riesce a dare una prova di sé con un ricordo indelebile è un ectoplasma violento e arrogante che non riesce ad amare se non soffocando. Perché un altro uomo viene descritto come ossessionato dalla figura materna che lo eccita, in un complesso di edipo che si attiva, ogni volta, grazie al suono di posate che si lavano.
Nella scenografia cangiante e minimal la piece mette in scena le frustrazioni eterne dell’essere donna, una macchina, una incubatrice, una catastrofe.
Lo spettacolo della Comencini, accompagnata da queste splendide attrici, rivive la passione di un femminismo che però è stanco di voler combattere per ottenere una parità che si è risolta solo in un “indossare i pantaloni”. Lo spettacolo si è interrogato proprio sul significato della femminilità che cambia, costretta a mutare pur restando immobile e identica a sé.
Cosa è la donna di oggi? Non lo si sa con esattezza, sicuramente è molto più simile a quella che era la donna di ieri, di quanto lei stessa non voglia ammettere.