GUBBIO – Si è aperto mercoledì 30 settembre nella Sala Trecentesca del Palazzo Pretorio, con la prolusione dello storico Franco Cardini, il primo Festival del Medioevo (30 settembre- 4 ottobre). Il sottosegretario al ministero per i Beni e le Attivita’ culturali e il Turismo, Ilaria Borletti Buitoni, portando il saluto del Governo, ha auspicato che la citta’ diventi il cuore della riflessione culturale su questo tema, “piccola grande capitale del Medioevo”. Il sindaco di Gubbio, Filippo Mario Stirati, si e’ detto “estremamente soddisfatto” dell’evento per il suo “spessore culturale” e si e’ impegnato a renderlo un appuntamento fisso nel calendario annuale della citta’.
Ma intanto la compagnia dei camminanti continua il suo viaggio…
Un uomo del medioevo avrebbe potuto anche leggervi un segno divino. Sta di fatto che il manoscritto originale si è conservato perfettamente proprio laddove si narra dell’arrivo dei nostri francescani ad Assisi. Avevamo da poco superato Hispellum quando la voce del maestro si levò sopra il nostro canto, «Ecco, questa è la vetta suprema della nostra itineranza», egli disse indicando quella che non faticammo a riconoscere come Assisi, bianchissima nel verde di una fertile costa pendente dall’alto monte che ci accompagnava da tempo. Dalle bocche di ognuno di noi si levò un suono di stupore, poi più niente sin quasi all’ingresso nella città di cui avevamo solo sentito parlare, e di cui colpiva l’imponenza della basilica francescana e della grande rocca, brulicante di operai al lavoro. Solo di fronte all’entrata del grande convento francescano, approfittando del fatto che tutti noi ci eravamo avvicinati a lui per aiutarlo a smontare dall’umile cavalcatura, magister Fioravante ci disse: «Come il popolo eletto da Dio attraversò la pianura del Giordano per giungere al monte Sinai, noi abbiamo attraversato la valle umbra calcando indegnamente le orme di Santo Francesco sino alla sua ultima, altissima, dimora. Non i miei imperfetti insegnamenti terrete con voi quando ci saremo separati, ma l’esempio del nostro comune Maestro, perché nessuno ha saputo seguire con altrettanta purezza la via che conduce al Padre Nostro». Subito dopo il gruppo trova ad attenderlo all’ingresso del convento un superiore dell’Ordine e due novizi, i quali invitano i pellegrini a lavarsi le mani con l’acqua contenuta in una bacinella quasi certamente d’oro, cosa che fa inorridire il maestro. Lo stesso non può dirsi dei discepoli, impazienti di soddisfare il rituale di benvenuto per avere più tempo da dedicare alla visita del convento e della basilica. Cosa che li spinge a consumare in fretta il generoso pasto in mensa senza Fioravante, preoccupato di sfamare lo spirito più del corpo. È infatti disteso davanti alla tomba di Francesco quando viene raggiunto dai discenti, che si uniscono alla preghiera. Solo più tardi il gruppo emerge dalla cripta per seguire lo straordinario racconto visivo affrescato sulle pareti della basilica superiore da Ambrogiotto di Bondone. Non vi arriveranno mai. Alla vana ricerca dell’abbraccio ai lebbrosi o dell’iniziale romitaggio del Poverello, il gruppo si ritrova dinanzi agli affreschi di Simone Martini da Siena con la storia di San Ludovico dei Francesi. «Ecco il giovane Ludovico ostaggio, insieme ai fratelli Raimondo e Roberto d’Angiò, di Alfonso III d’Aragona in cambio della libertà del padre loro, re Carlo; eccolo, durante la prigionia, subire l’influenza dei francescani Francesco Brun e Pietro Scarrier; eccolo, finalmente libero, abdicare al trono del padre in favore di Roberto per entrare nell’ordine francescano; eccolo intervenire miracolosamente nella liberazione del castello di Serravalle Pistoiese, che lo elesse a proprio patrono come Valencia e Marsiglia. Eccolo sul trono episcopale, vestito del lussuoso piviale, della preziosa mitra e del dorato pastorale. Eccolo, dopo tanto sforzo, circondato dai confratelli sul letto di morte, avvenuta il 19 agosto 1297. Eccolo traslato dalla sua cattedrale in quella di Valencia. Ma dove è l’adesione senza riserve di Ludovico alla corrente spirituale del francescanesimo? Dove la volontà da egli dimostrata di voler vivere poveramente secondo l’insegnamento dell’Assisiate contro le accuse di eresia dell’Ordine e dalle gerarchie ecclesiastiche? Dove l’imposizione ad accettare la dignità vescovile subita dal padre, contrario all’ingresso del figlio tra i frati minori? Dove la morte di stenti dal santo ricercata?»
Domande che l’anonimo estensore del manoscritto sta per indirizzare a Fioravante, quando, voltosi a lui, ne scorge il volto rigato di lacrime. Un pianto sommesso, inconsolabile, non accompagnato da alcuna parola, del resto inutile. «Sapevo bene l’origine della sua disperazione, avendoci tante volte narrato la sua storia. Aveva sedici anni quando il padre lo tolse dalla tranquillità del chiostro e dagli studi amati per metterlo al sicuro dagli effetti dell’incoronazione di Enrico VII, avvenuta a furor di popolo nella romana Basilica del Laterano. Considerata definitiva la rottura con Giovanni XXII, l’imperatore gli aveva opposto Nicola V, portando la disputa tra Papato e Impero sin dentro i monasteri e le abbazie. Uscito dal noviziato e ritrovatosi tra i ricchi signori scontenti del governo imperiale, Fioravante si scoprì del tutto incapace di usare armi diverse da quelle della parola. Tanto che, svanita la minaccia di un assedio ghibellino, il padre lo pose subito accanto a frate Francesco da Gaeta, arrivato nell’Urbe sulla scia dei 400 cavalieri inviativi dal Re di Napoli. Per tre anni fu lo scrivano e il discepolo del dotto francescano, né ebbe a pentirsene, perché questa vicinanza lo impegnò in memorabili missioni proprio per conto di quel Roberto d’Angiò giunto al trono grazie alla rinuncia del fratello Ludovico. Un atto che, insieme all’aspirazione a vivere nella povertà assoluta e senza compromessi, aveva conquistato il giovane Fioravante, deciso a seguire anche lui alla lettera la Regola sine glossa e il Testamento di Francesco». E ora vedevano costui raffigurato sul trono vescovile in abiti regali, anziché nel semplice saio dei “suoi” Spirituali, la condanna dei quali era venuta proprio da quel Giacomo di Cahors che aveva voluto proclamare Ludovico santo il 7 aprile 1317. Il tutto con la complicità di Re Roberto, che in quello stesso anno si era fatto effigiare ai piedi del fratello in trono dallo stesso Simone Martini. Ma il pianto di Fioravante aveva ben altre motivazioni: «Era toccato a lui e a Francesco da Gaeta portare il pittore senese a Napoli nell’anno della canonizzazione di Ludovico, affinché dipingesse questo manifesto politico commissionatogli dal Re di Napoli, disposto a obliare la memoria del suo grande fratello pur di legittimare il proprio potere». Il maestro non vuole restare davanti a quella celebrazione del casato angioino e dei Conventuali, il cui processo di normalizzazione della vita di Francesco e dei suoi più autentici seguaci interpreta come tradimento. «Così, levatici dai sedili e inchinatici davanti all’altare, in silenzio uscimmo dalla Basilica del Santo. Appena fuori, fummo investiti dall’accecante luce del sole da poco voltato a ponente. Ma non per questo versai anch’io le mie lacrime. Era giunto il momento di separarmi dal mio buon maestro e dai miei compagni. La loro destinazione era Perugia, la mia Gubbio. Li abbracciai uno ad uno prima di incamminarmi verso il convento dei monaci benedettini di San Pietro, da dove sarei uscito dalla città per la porta nuova. Lì avrei trovato ad attendermi un cavallo e un suo uomo. Insieme puntammo verso Valfabbrica, arrivandovi in tre. Lungo la via incontrammo un cavaliere diretto a Gubbio per il torneo di Sant’Ubaldo, Rinaldo Ivanoe Campo».
4 – continua
Le puntate precedenti:
https://binrome.com/eventi/verso-il-festival-il-cammino-medievale-verso-il-regno-dei-cieli-2/
https://binrome.com/eventi/medioevoil-viaggio-il-lento-cammino-dei-pellegrini-verso-gubbio-3/
Info: www.festivaldelmedioevo.it