Roma Poesia alla sua XIX edizione disarma, confonde, lascia incerti. L’organizzazione del festival della parola appare qui frammentaria e povera nella preparazione dello spazio scenico e del programma di cui lo spettatore a tratti godrà ridendone a tratti apprezzandone i contenuti, ad apertura della serata Luigi Cinque, direttore di Roma Poesia, propone una presentazione scarna i cui toni ricordano il racconto degli anziani di un tempo la cui voce diviene solo memoria del proprio vissuto, questo ovviamente appare fuori luogo se prende il posto della presentazione di un festival che avrebbe bisogno di un maggiore spessore iniziale e di una maggiore incisività, insieme a lui sul palco Tommaso Ottonieri, poeta, entrambi rivolti l’uno all’altra e a se stessi, in questo dialogo tra narcisi lo spettatore non è contemplato né preso minimamente in considerazione, sul palco a tratti videomakers a tratti altre figure intrusive portano lo spettatore a chiedersi se non sia finito lì nel momento delle prove generali piuttosto che presente presenza alla prima serata di un Festival di spessore che nell’ organizzazione si disgrega. La figura di Luigi Cinque in apertura appare una forzatura che si discosta profondamente dai contenuti successivi abbassandone il livello, disturbandone il senso, disperdendone le energie.
Un appunto di merito a Sara Davidovics, poetessa e interprete da un virtuosismo palese, che intervenendo in apertura finalmente entra nel vivo di quello che accadrà di lì a poco, un sincretismo incantevole tra le diverse arti che si pone e impone come esperienza sinestetica in cui la scrittura – la poesia, la videoarte e i live set accompagnati dalla chitarra si incontrano generando un’opera artistica altra che da ognuno di questi elementi trae il proprio spessore, espandendo in diverse direzioni che si ricongiungono nel qui e ora della rappresentazione, quello che in potenza è nel testo poetico.
Luigi Cinque porta risate e silenzi imbarazzati nel pubblico questi seguiteranno e esploderanno nella presentazione al pubblico di Quando lo sguardo muove di Ada Sirente, un testo presentato al pubblico attraverso una lente pregna di linguaggi sorpassati e modalità di messinscena dal dubbio valore che vanno a riproporre un testo dubbiosamente poetico e per niente convincente, sia per il suo contenuto quanto per la sua forma, ciò non accadrà nel corso delle letture successive. Si presenta così una scissione totale nella struttura, nelle dinamiche, nei contenuti delle diverse opere presentate il cui valore inestimabile – nel caso di Cassandra, un paesaggio di Ivan Schiavone e Oz, viaggio astratto su quattro punti cardinali e una coda di Sara Davidovics – resta inalterato nonostante l’errore della successione di opere dallo spessore tale da non poter essere trattate in una carrellata di interventi, quasi fossero canzoni scadenti in una playlist di second’ordine, ma avrebbero bisogno di uno spazio unico che ne permettesse una piena usufruibilità; forte è la spaccatura tra la prima parte in cui presenta se stesso Luigi Cinque seguito da Patrizia Casagrande e Andrea Rettagliati, e la seconda parte nella quale il palco, da vuoto, diviene pieno e la luce si trasforma da fredda e asettica a calda, decisa, misurata, qui si inseriscono il lavoro di Ivan Schiavone e Sara Davidovics, interpretati dalla Davidovics stessa e da Ida Vinella, la cui lettura rimane eccelsa riuscendo a farsi trasparenza per non influire con la sua voce e con la sua presenza scenica su quello che il testo potrà produrre nel pubblico, altrettanto irreprensibile è stata l’interpretazione e la presenza di Sara Davidovics sul palco, si rivela un talento della modulazione vocale oltre che della poesia italiana ultima, riesce a farsi seguire e intonare i silenzi, le note, il senso della sua poesia nell’ eccellenza virtuosa di cui pochi, ad accompagnarla la chitarra di Emiliano Maiorani che come, e forse in misura minore ma altrettanto valida, del chitarrista Fabio Zeppetella ( in Cassandra, un paesaggio ) riesce a trasporre nella dimensione musicale la dimensione poetica, acuendone, smorzandone, accompagnandone i significati; altrettanto ed in misura ancora maggiore, se possibile, riesce Pierpaolo Cipitelli che dona ai presenti un liveset che già di per sé e scollegato dallo spettacolo varrebbe molto più di un ascolto e che nell’ integrazione con la lettura poetica e la videoarte da il meglio di sé.
Infine, ma non per preparazione artistica, Silvia Sbordoni una videoartista il cui lavoro si rivela molto interessante avendo in sé elementi provenienti da ambienti diversi, così lo spettatore troverà dinnanzi a sé disegni, fotogrammi, linee e costruzioni che sembrano provenire dall’ immaginario di un designer, di un architetto ma anche di una pittrice, di una disegnatrice. Qui luci e ombre, paesaggi artistici integrano e potenziano i linguaggi e le proposte artistiche affiancate.
Una buona proposta, che si perde nelle decisioni strutturali e programmatiche dell’organizzazione evidentemente non all’altezza dell’arte presente di cui non viene neanche rispettata la denominazione: Poesia. Nuova Generazione sostituita sul programma da Generazione y così da avere una discrepanza forte tra la pubblicizzazione degli artisti e quella dell’organizzazione.
Attendiamo le serate di questa sera 9 Agosto e di domani sera.