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A Venezia si celebrano le maschere

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Negli antichi trattati di iconografia, la personificazione della pittura porta spesso una maschera appesa al collo, perché essa imita la natura così come l’attore mascherato il personaggio che egli interpreta. Alla maschera, come simbolo della pittura, la Galleria del Laocoonte dedica una mostra di dipinti, disegni e sculture del ‘900, dove essa è il soggetto rappresentato: sia l’enigmatico oggetto maschera, inanimato soggetto di nature morte futuriste o metafisiche, sia la maschera indossata dall’attore che dà vita e voce ai personaggi della tradizionale commedia dell’arte italiana, tante volte celebrata dall’arte moderna, non solo in Italia. 

 

Avendo in mente le memorie figurative dei Tiepolo, è proprio Venezia, con i suoi antichi carnevali dove nei teatri indossavano maschere tanto gli attori in scena che il pubblico in sala, la capitale ideale delle maschere.

 

Un grande dipinto di Ugo Rossi (1906-1990), lungo quasi 4 metri, rappresenta appunto piazza San Marco a Venezia piena zeppa di gente in costumi carnevaleschi, colorati e di ogni foggia. Creata per rallegrare il bar di una di quelle navi transatlantiche di lusso che incarnarono l’ottimismo entusiasta post-bellico, quest’opera vuole rappresentare l’Italia come un paese in continua festa proprio per dimenticare gli orrori e le distruzioni del conflitto appena trascorso.

 

Scene veneziane con maschere di carnevale erano uno dei soggetti preferiti dell’artista Umberto Brunelleschi (1879-1949), un toscano che ebbe un grande successo a Parigi come disegnatore di costumi, scenografo e illustratore di moda. Di lui abbiamo due dei suoi tipici pochoirs con corteggiamenti amorosi di coppie e uno studio per una locandina dedicata ad una festa a soggetto veneziano in maschera tenuta al Cercle de l’Union Interalliées di Parigi. In un altro acquerello egli dipinge l’autoritratto con maschera, studio per un manifesto per la prima parigina della commedia La maschera e il volto, opera oggi quasi dimenticata di Luigi Chiarelli, che ebbe un grande successo internazionale, sulla scia dell’esempio influente di Pirandello. 

 

Direttamente ispirato dallo stesso Pirandello fu il pittore Giovanni Marchig. La sua opera più importante, Morte di un autore (1924), che raffigura un drammaturgo morto sulla sua scrivania circondato da tutti i personaggi della Commedia dell’Arte in lutto, è ora a Palazzo Pitti. Egli fu un pittore incantevole, poco conosciuto perché lasciò perdere la pittura sul finire della sua vita per diventare un rinomato restauratore di dipinti antichi, uomo di fiducia di Bernard Berenson. Oggi famoso principalmente per essere stato il proprietario del controverso disegno di Leonardo La Bella Principessa. La Galleria del Laocoonte è orgogliosa di presentare un’opera di Marchig del 1933 da poco riscoperta, il ritratto di un giovane attore vestito come Arlecchino. Egli ha il suo costume multicolore ma non indossa la maschera, non è in scena e si sta riposando con le braccia conserte. Stavolta l’enfasi è sul volto, sulla persona reale dell’attore quando non è “posseduta” dal ruolo del suo personaggio. 

 

Venezia, il Settecento, Casanova. Il famoso seduttore veneziano divenne di gran moda durante gli “années folles”. Qui viene raffigurato mascherato, con una marionetta in ciascuna mano. È infatti l’elegante disegno preparatorio per la copertina dell’opera teatrale Il matrimonio di Casanova (1910), dove l’eroe del titolo diventa il burattinaio che manipola tutti i personaggi della trama. Fu disegnato da Oscar Ghiglia (1876-1945), il pittore preferito di Ugo Ojetti, il più importante critico d’arte italiano del suo tempo, autore anche della commedia assieme a Renato Simoni, critico e autore teatrale, che tradusse la prosa di Ojetti in vernacolo goldoniano.

 

Sempre Venezia e le sue dame mascherate sono il soggetto di due incantevoli e singolari pitture sottovetro di Vittorio Petrella da Bologna (1886-1951), decorative e ipnotizzanti come le antiche carte marmorizzate delle legature di antichi libri.

 

Vi sono maschere metafisiche al centro delle enigmatiche nature morte nei dipinti di Marisa Mori (1900-1985), allieva di Casorati, ve ne sono altre in una delle prime opere di Aligi Sassu (1929), promettente futurista da giovanissimo, ancora lontano dagli stancanti cavallucci rossi che lo hanno reso famoso. 

 

Di Roberto Melli (1885-1958), ombroso maestro del colore è esposta Mascherina, bronzetto già esposto alla Secessione Romana, e un grazioso acquarello per una pubblicità per caramelle, con Pierrot che ne offre alla luna.

 

Fra le tante, un’illustrazione toccante di Arlecchino portato in paradiso dagli angeli, del disegnatore Enrico Sacchetti, appartenuta al famoso attore Ettore Petrolini. Dalla stessa raccolta viene anche un acquarello di Mario Pompei (1903-1958), che del Nerone di Petrolini fu scenografo, con un casotto di burattini con pulcinella che bastona il diavolo per la gioia dei bambini. 

 

Di Ettore Petrolini, “maschera nuda”, per natura più espressiva di ogni faccia di cuoio, cartone o cartapesta, mai portata in scena, sono esposti tre ritratti, ad acquerello, ad olio e in bronzo. Nel primo appare mascherato da Pulcinella, nel secondo è immortalato da Oscar Ghiglia, il bronzo infine è una replica del busto di Kiril Todorov (1902-1987) che è posto sulla tomba dell’attore al Verano.

 

Attribuito ora a Mario Barberis (1893-1960), è un disegno originale per la copertina di una delle raccolte di racconti brevi di Pirandello, Terzetti del 1912, dove una musa si diverte a indossare una maschera dopo l’altra.

 

Angelo Urbani del Fabbretto (1903-1974) è stato un pittore e illustratore romano di ispirazione vernacolare, disegnò il menù e le ricette dell’oste Giggi Fazi e si inventò il presepe pinelliano della scalinata di Trinità dei Monti. I guitti mascherati dell’avanspettacolo furono un soggetto costante della sua opera, qui rappresentata da olii piccoli e grandi e da una grande natura morta con il costume da arlecchino abbandonato su una poltrona.

 

Vi sono trombette di carta, mascherine, campanacci, stelle filanti, ma non è carnevale, è la notte di San Giovanni, la notte delle streghe, quella del 24 giugno, quando fino agli anni ‘60 i romani celebravano con gran mangiate di lumache e gran caciara. Lo celebra in una natura morta giovanile Corrado Cagli (1910-1976), ad encausto, con i monumenti di Roma sullo sfondo. Un breve carnevale estivo. Un piccolo capolavoro di pittura giocosa.

 

Un altro Arlecchino dell’artista contemporaneo Pino Pascali (1935-1968), inventato quando era impegnato a produrre cartoni animati per la pubblicità televisiva. Arlecchino infatti era il nome di una celebre marca di pomodori in scatola: la pummarola, la commedia dell’arte. L’Italia tutta in un barattolo di latta.