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Al teatro Eleonora Duse Francesca Caprioli porta in scena “E’ un continente perduto”

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Dal 29 novembre al 1 dicembre al Teatro Studio Eleonora Duse l’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico” presenta “È un continente perduto”, spettacolo diretto da Francesca Caprioli, vincitore della menzione speciale del Premio di Produzione Carmelo Rocca 2018. Il Premio, indetto dall’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” con il contributo di SIAE, Società italiana degli Autori ed Editori, è intitolato a Carmelo Rocca, storico Direttore dello spettacolo dal vivo e del cinema del MIBACT, nonché Presidente e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Accademia, istituzione che ha sempre sostenuto con particolare attenzione, promuovendo il debutto e l’immissione professionale delle giovani generazioni di attori e registi.

Lo spettacolo, tratto dal romanzo “La Casa del sonno” dello scrittore inglese Jonathan Coe, è specchio e anamnesi delle fobie e delle nevrosi di questo nostro tempo.

Su una scogliera a getto sull’oceano c’è una vecchia casa: nel 1990 è un campus universitario, nel 2018 una clinica per i disturbi del sonno. Lo stesso luogo, le stesse persone, un tempo diverso e diviso. È UN CONTINENTE PERDUTO si articola in cinque capitoli, come le cinque fasi del sonno. Inizia oggi, nel  presente, mentre il passato e il ricordo prendono sempre più spazio fino a cancellare  e confondere il tempo dello spettacolo. La storia comincia ora, continua ieri e finisce nell’immaginazione del sogno.

Un testo con un eroe ermafrodito, un uomo-donna che ha compreso la nostra epoca fredda e, come lei, s’è fatto plastica.”- annota Francesca Caprioli. “Una rappresentazione spietata per  svergognare i tabù di una società che, in preda al panico, continua a cercare una risposta organica alle sue piaghe spirituali: lo sentiamo, questo bisogno disperato che qualcuno indaghi su di noi, ma per capire di cosa siamo fatti, non ci restano che gli esami del sangue, e quando li facciamo, la gioia non è sapere di essere in salute, bensì rendersi conto che c’è ancora qualcosa di vivo dentro le vene. Questo spettacolo grida allo spettatore di rivoltarsi contro la società della tecnologia, dell’ipocondria e della terapia, degli organi stampati al computer, e di riflettere su un chiaro e semplice fatto: per quanto ci si sforzi di allontanarsi dalla natura e di guardarla dall’alto, per quanto si voglia vivere nel futuro, l’unica verità è il nostro passato, la nostra memoria e l’amore. E’  nostro dovere, da umani, trovare il coraggio di affrontarli. Trovare il coraggio di dormire, di essere indifesi. Trovare la forza di essere veramente, completamente, svegli.