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Il balletto di Roma mette in scena “Sogno di una notte di mezza estate”

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“Sogno di una notte di mezza estate” è una delle opere più affascinanti di William Shakespeare, una commedia immersa in un’atmosfera fantastica, capace di suscitare emozioni e meraviglia. In principio l’opera fu destinata a rappresentazioni private, mentre più tardi il testo fu riadattato come spettacolo pubblico. In bilico tra questa dimensione intima e collettiva, tra surrealismo e folklore, la Compagnia del Balletto di Roma dà origine alla storia fantastica e tenebrosa di coppie d’innamorati che si perdono e s’inseguono in un bosco labirintico, fatto d’insidie e seduzioni.

La creazione di Davide Valrosso riflette su due temi fondamentali: la magia e il sogno. Magia non è altro che l’amore, simboleggiato nella commedia dal succo di un fiore magico che agisce sugli occhi: è, infatti, con lo sguardo che ci s’innamora per la prima volta scrutando l’oggetto del desiderio. Altro tema è il sogno, preponderante a tal punto che realtà e fantasia arrivano a confondersi, amplificando lo sguardo su un accadimento a-temporale. L’elemento onirico è reso dalla presenza di corpi vivi e impalpabili che danzando animano Puck, creatura irreale ma sempre presente che muove, a volte anche senza volerlo, i fili delle relazioni umane. Puck è vitalità e caos, gioco e divertimento, senza cattiveria. Puck è l’infante irruento e scherzoso che è dentro ognuno di noi.

In termini coreografici la cifra chiave è da ricercarsi in un passaggio fluido da elementi accademici a una danza più materica: tracciati ambivalenti che si nutrono l’uno dell’altro, in un migrare continuo dall’etereo al corporeo. Attraverso un focus intermittente su situazioni scelte, le azioni si sovrappongono come in una dissolvenza incrociata, inglobando sguardi densi d’immaginazione, in un’esperienza di visione che invita continuamente a “giocare di fantasia”. Danzatori in colori pastello e scena di un bianco sognante s’immaginano immersi nella stessa sostanza, fatta di materiali sottili che sussurrano e non descrivono. La coreografia dei duetti e delle parti di gruppo amplifica una densità di presenza voluminosa abbastanza da donare al corpo e alla scenografia una consistenza tangibile e insieme immateriale: saranno gli spiriti irreali dei personaggi a concretizzarsi in un mondo del tutto surreale, ma che ci parla da vicino.

Shakespeare ci fa intuire quanto noi esseri umani siamo insignificanti di fronte a cose che non possiamo in alcun modo controllare. Ci fa riflettere su come il caos possa essere artefice del nostro destino, poiché nulla possiamo fare – almeno apparentemente – per contrastarlo. Attraverso la danza del suo “Sogno, una notte di mezza estate” Valrosso ci suggerisce di coltivare il senso trasformativo di questo caos fatto d’inganni, gelosie e tenerezze, accogliendo il potere che pensieri, parole e gesti hanno di farci abbandonare inesorabilmente alla bellezza.