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“Inverno” Vincenzo Manna torna in scena con Anna Paola Vellaccio e Flaminia Cuzzoli, per una versione tutta al femminile del testo di Jon Fosse

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La storia di uno spettacolo è solo in parte raccontata dalla sua genesi. Se questa può dipendere da fattori contingenti o di prosaica necessità, lo spettacolo  -nel suo farsi e poi nel suo replicarsi su palcoscenici diversi- sviluppa immancabilmente una vita propria e sempre più tipica, spesso del tutto lontana dalla sua forma di partenza. Questo piccolo “universale” si attaglia con particolare efficacia al lavoro di messinscena che Vincenzo Manna ha dedicato ad Inverno di Jon Fosse e che torna in scena in questa stagione dopo un percorso di sedimentazione durato quasi due anni.

Manna aveva scelto questo dramma per le sue caratteristiche specifiche che lo distinguono dalla più parte della produzione drammaturgica dell’autore norvegese. In effetti, in Inverno vengono leggermente meno le astrazioni poetiche e certe nettezze di parvenza mitica (vincoli di sangue, relazioni filiali complesse, il dolore della morte), esponendo in posizione protagonistica tutto quel corollario verbale che forse è la caratteristica più distintiva della scrittura di Fosse: l’incertezza della battuta, la reiterazione delle singole parole, il silenzio della pausa che va a dilatare dialoghi disperatamente incapaci di trasportare notizia, contenuto, senso.

Ma soprattutto con Inverno la vicenda si allontana dall’orizzonte della genericità, per avvicinarsi alle coordinate specifiche del quotidiano occidentale: l’incontro disincantato tra un business man ed una prostituta, il futuro di una relazione impossibile che solo la condizione -diversamente disperante- dei due viene a rendere plausibile. In questa prospettiva è comprensibile la linea di regia messa a punto da Manna che imposta una recitazione realistica delle battute, ma è altrettanto comprensibile la sua impellenza di complicare il materiale drammaturgico. In scena Anna Paola Vellaccio e Flaminia Cuzzoli rimpastano le dinamiche interne all’azione pur nel pieno rispetto del testo: volano via in partenza i cliché che appesantiscono il soggetto originale, dando vita allo scenario di una relazione tutta al femminile.

Ma soprattutto il linguaggio scenico viene a competere con quello testuale, sviluppando una cifra duplice: al quasi naturalismo del recitato, si abbina una pasta espressiva di matrice corporea e visuale, realizzata dalle due attrici negli spazi vuoti che si aprono tra i singoli quadri dell’azione. In questi momenti si ha anzi l’impressione che lo spettacolo si gioverebbe di un impiego  maggiore del linguaggio corporeo e non verbale, andando ad infiltrarsi anche nelle maglie dei dialoghi, il che renderebbe più obliqua ed accattivante quella medesima duplicità del linguaggio scenico, sospeso secondo intermittenze imprevedibili tra momenti di realismo e bolle di ambigua surrealtà.  In questo senso, lo spettacolo conferma l’impressione di una sua liquidità intrinseca, che tiene aperta la possibilità di nuovi sviluppi e nuove trasformazioni nel corso della sua vita futura.

Paolo Verlengia

 

“Inverno” di Jon Fosse, con Anna Paola Vellaccio e Flaminia Cuzzoli, regia di Vincenzo Manna

 

21-22 Gennaio 2017 – Florian Espace, Pescara