Friedrich Dürrenmatt si prende gioco di noi, della nostra vita famigliare, con tutte le armi che gli sono proprie, il sarcasmo, l’ironia che trascolora nel grottesco, il gusto del comico, ma anche la violenza del linguaggio. Lo fa prendendo uno dei più formidabili testi di Strindberg, Danza macabra, e lo riscrive dal quel grande costruttore di storie teatrali qual è.
Prende i tre protagonisti – il capitano, la moglie e il cugino/amante che ritorna – e li posiziona sotto le luci glaciali di un ring; seziona il testo strindberghiano e ne tira fuori undici round, intervallati dai gong – proprio come un incontro di boxe o di lotta – con la sola differenza che i combattenti sono tre.
Tutta l’essenza del testo originale rimane – scrive Franco Però – ma Dürrenmatt ne esalta l’attualità, asciugando fin dove è possibile il linguaggio – già di per sé scarno – come in un continuo corpo a corpo, che solo il gong ferma per qualche istante, dando ai contendenti il tempo di un riposo per riprendere fiato e agli spettatori l’attimo di riflessione su quanto, nel round precedente, hanno visto. Sono immagini veloci come flash di una lotta famigliare in cui arriva all’improvviso il desiderato – da entrambi i coniugi – “straniero”, che veste i panni del cugino e rimette in gioco rapporti e conflittualità.
Il riso e il pugno allo stomaco, il sorriso e l’amarezza si alternano continuamente su questo palcoscenico-ring, riportando davanti agli occhi dello spettatore gli angoli più nascosti di quel nucleo, amato od odiato, fondamentale – almeno fino ad oggi – delle nostre società: la famiglia.
9 – 21 maggio 2017
Eliseo