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“Trans Trans Trance” di Kamilė Gudmonaitė chiude il Festival FLUX

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Martedì 15 maggio (ore 18) il palcoscenico del Teatro India accoglie in prima nazionale TRANS TRANS TRANCE, spettacolo diretto dalla giovanissima e anticonformista Kamilė Gudmonaitė (1992), che chiude l’ultima giornata del FLUX – Festival Lituano delle arti, con una riflessione sui temi della sessualità, della femminilità e del genere, una produzione Teatro di Vilnius/OKT Oskaras Koršunovas Theatre, Teatro di Roma e Istituto Lituano di Cultura. Trans Trans Trance è un lavoro corale e autobiografico, concepito da donne, per riflettere su cosa vuol dire essere “donna”, indagando la femminilità e la sessualità e allontanandosi dagli stereotipi comuni per rivendicare la libertà di essere davvero se stessi. Una riflessione sull’identità di genere, in continuo divenire, in cui si assiste a una trasformazione: un processo che, scardinando ogni staticità, conduce anche il pubblico ad un cambiamento, attraverso l’analisi della condizione di una donna che desidera essere un uomo. «Da un confronto con le attrici, ci siamo rese conto che non era sufficiente parlare solo delle donne e di stereotipi. Era necessario accantonare la femminilità e distogliere l’attenzione dal genere. Abbiamo evitato in modo deliberato l’argomento della mascolinità, perché desideravamo condividere le nostre esperienze personali – annota Kamilė Gudmonaitė – Non abbiamo tenuto audizioni: ho deciso di invitare le uniche ragazze del corso per attori del regista Gintaras Varnas. Quando abbiamo iniziato a parlarne, ci siamo accorte che avevamo molto da dire. Le attrici sono state coraggiose: l’argomento stesso lo ha reso possibile. Attraverso la recitazione queste donne si sono rivelate in una luce completamente diversa. Organizziamo colloqui con donne attiviste, transgender, raccogliamo commenti e storie vere, andiamo per strada e poniamo domande, scriviamo e discutiamo tra noi. In questo caso, l’oggetto della rappresentazione non è la drammaturgia, ma la società. Molte persone hanno bisogno di storie per identificarsi con i loro eroi, ma non mi interessava dar vita a personaggi omogenei, portare in scena una storia lineare: in questo spettacolo i personaggi sono costruiti e decostruiti, per privare gli spettatori di qualsiasi meccanismo di identificazione. Con questa opera ho desiderato allontanarmi in modo intuitivo dal genere di teatro che mi è stato insegnato a scuola. Oggi mi interessa ciò che accade davvero. Mi incuriosisce la vita, così com’è, e non il modo in cui viene rappresentata in letteratura. Mi interessano i problemi sociali reali vissuti nelle strade, problemi che sono considerati ancora un tabù. Voglio parlare di cose che sono un dito nella piaga per il pubblico e analizzarle da tutte le angolazioni. Pertanto, abbiamo scritto i testi dello spettacolo noi stesse, abbiamo selezionato il materiale in base a ciò che desideravamo dire sull’argomento. Volevo che la prospettiva personale di ciascuno di noi si riflettesse nello spettacolo e, quest’opera teatrale non è mia: è un figlio che condividiamo».