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Un Barbiere a la Burton che poteva dire molto di più

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DIRETTORE Donato Renzetti REGIA, SCENE E LUCI Davide Livermore MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani COSTUMI Gianluca Falaschi ILLUSTRAZIONI Francesco Calcagnini VIDEO D-Wok INTERPRETI PRINCIPALI ROSINA Chiara Amarù / Teresa Iervolino 14, 17, 21 CONTE D'ALMAVIVA Edgardo Rocha / Merto Sungu 14, 17, 21 FIGARO Florian Sempey / Julian Kim 14,17, 21 DON BASILIO Ildebrando D’Arcangelo / Mikhail Korobeinikov 14, 17, 18, 21 DON BARTOLO Simone Del Savio / Omar Montanari 14, 17 FIORELLO Vincenzo Nizzardo BERTA Eleonora de la Peña AMBROGIO Sax Nicosia (attore) Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera Nuovo allestimento

La rivoluzione uccide spesso se stessa e i mostri che ha generato. Così pensava Augusto del Noce, raffinato filosofo italiano del secolo scorso. Ma così non può che pensarla qualsiasi persona dotata di buon senso, estetico e intellettuale.

La rivoluzione, per il solo gusto di proporla o di viverla, è solamente una esperienza epidermica, decisa a tu per tu con la propria personalità, per il solo scopo di volersi vedere così.

In scena al Costanzi di Roma, il “Figaro”, per la regia di David Livermore, fino al 21 febbraio, ha lasciato molti dubbi e anche molte domande.

In primo luogo, l’ouverture, accompagnata da una schermata video che proiettava immagini di ribellione insieme a quelle dei dittatori della storia europea. É una idea carina, decollarli forse meno. Ma davvero l’immagine di Mussolini era necessario metterla capovolta? È davvero così necessario non andare avanti con la Storia e rimanere appesi a una geografia della Liberazione che sa più di hommage che arte? E poi, la debordante ondata di messaggi visivi ha schiacciato la musica, finendo con distogliere l’attenzione dell’ascoltatore dalle note al video. Scelte personali.Il-barbiere-di-Siviglia_al-centro-Edgardo-Rocha-28Conte-dAlmaviva-29

Altro elemento che lascia perplessi, i costumi di Gianluca Falaschi si aprono su un mondo alla Burton, onirico ma nemmeno troppo, che celebra il lato gotico dell’esistenza. Però nel cavalcare nei tempi si finisce in un salotto borghese anni ’60, con un increspatura da critica sociale che deborda da quella storica che era stata presentata all’inizio. Che esalta un aspetto di Beaumarchais marginale, non centrale. Come anche lo stesso Livermore ha spiegato nelle note di regia.

Ci si è lasciati andare a tal punto che nell’ultima aria del Conte d’Almaviva, prima dell’insieme finale, sembrava quasi di assistere a uno spettacolo di Elio e le Storie Tese. Merto Sungu, il Conte, è stato bravo, ma la voce barcollava in alcuni tratti.

É esploso in bravura Figaro, Julian Kim, da applausi. Ha saputo tenere magnificamente la scena, giocando con la recitazione e la voce in assoluta maestria. Rosina, Teresa Iervolino, partita in sordina, purtroppo è finita schiacciata dal peso dell’orchestra di Donato Renzetti che ne ha inghiottito i melismi nei numeri d’insieme. Don Basilio, con la sua sola aria di eccellenza, è stato assolutamente presente. Omar Montanari, Don Bartolo, insieme a Figaro, ha retto l’opera. Con la sua verve teatrale oltre che canora ha fatto sbellicare il pubblico.