Sarà naturalmente ricordato per La chimera, il romanzo che nel 1990 gli valse lo Strega, Sebastiano Vassalli, scomparso a Casale Monferrato il 26 luglio a soli 73 anni. Forse è anche giusto cosi. Il romanzo dedicato alla ragazza del Monte Rosa sospettata di stregoneria nel clima plumbeo della Controriforma è oggettivamente il suo capolavoro. Poi si ricorderanno pochi altri titoli, soprattutto La notte della cometa, l’omaggio al suo maestro Dino Buzzati. Poco si dirà, invece, e tra le righe, dell’inchiesta con la quale nel 1985 alzò coraggiosamente il velo sulla sorte degli italiani altoatesini non di lingua tedesca. Nessuno si aspettava che a quell’arcigno genovese piemontesizzato da vicende familiari, a quel giovane brillante che aveva aderito al Gruppo ’63, venisse in mente di scavare fuor di retorica e nel segno del politicamente scorretto su un tema così scabroso: la condizione di sostanziale discriminazione che gli italiani erano costretti a vivere a causa dei vantaggi garantiti ai cittadini di lingua tedesca nel nome della tutela delle minoranze, laddove la minoranza, nell’autonoma provincia di Bolzano, feudo della Svp di Silvius Magnago, erano appunto gli italiani. Era un tema divisivo. C’era in ballo l’equilibrio difficile garantito dagli accordi De Gasperi-Gruber nel dopoguerra. C’erano di mezzo la italianizzazione di quelle terre voluta dal fascismo e le opzioni pro Hitler dei sudtirolesi. Un tema spigoloso, usato come bandiera in chiave nostalgica dal Msi. Eppure Vassalli non ebbe paura e con la penna di un grande cronista letterato squarciò il velo. Incurante delle violentissime polemiche che ne sarebbero scaturite. Dimostro’, allora, quanto possa contare l’impegno civile di uno scrittore che sappia uscire dal coro. Se in Alto Adige, come lo stesso Vassalli rileva ne Il confine, appena pubblicato, la situazione è lentamente migliorata, il merito è anche e soprattutto di quel Sangue e suolo gettato nella mischia, come una scudisciata d’autore, trent’anni fa.