Ricercatezza, personalità e cura dei dettagli sono gli elementi che accomunano i due gruppi che si sono esibiti al Monk il 23 marzo: da un lato il rock alternativo e ben definito dei Mòn, dall’altro l’eclettismo e l’audacia de La Rappresentante di Lista.
Ai primi spetta l’apertura, eseguendo per intero il loro disco d’esordio in uscita il 12 maggio dal titolo “Zama”, composto da brani finemente arrangiati e dal suono moderno. Nonostante la giovane età, colpisce da subito la confidenza sul palco e la tecnica con cui viene eseguito ogni pezzo: le parti strumentali in continuo dialogo creano incastri perfetti, mentre le parti vocali di Rocco Zilli (voce, tastiere) e Carlotta Deiana risultano ben armonizzate e fortemente espressive. Notevoli soprattutto i ritmi di Dimitri Nicastri alla batteria, che si dimostra abile nel tocco, così come Stefano Veloci al basso. Non da meno, Michele Mariola che con le sei corde è in grado di dare energia e spessore a ogni pezzo, a volte con arpeggi e assoli, altre con ritmiche travolgenti a cavallo tra rock, pop e funky. I brani dei Mòn rivelano un gusto raffinato nella composizione, che risente di influenze attuali e non: dagli XX ai Radiohead, fino agli Alt J, unendo sonorità elettroacustiche a strutture dinamiche. Ne escono canzoni coinvolgenti, mai banali e orecchiabili, che fanno desiderare di avere già il loro primo disco fra le mani.
Dopo i Mòn, è il turno de La Rappresentante di Lista, gruppo nato a inizio decennio, con due dischi all’attivo e una candidatura al Premio Tenco 2014. Già dai primi secondi è chiaro quanto il sound sia originale e i loro testi creativi: le parti strumentali rivelano una forte carica di sperimentazione, introducendo strumenti atipici (guitalele, campanelli) su basi acustiche ed elettroniche. Anche in questo caso è palese una forte attenzione alla dinamica dell’esibizione e alla ricerca di espedienti sonori, quali i sintetizzatori e le tastiere di Enrico Lupi (anche trombettista), che sostituiscono il basso, e le percussioni e pad di Marta Cannuscio, capace di creare suoni e ritmi penetranti.
Colpisce la voce di Veronica Lucchesi, leader carismatica e istrionica sul palco, virtuosa e potente, accompagnata da Dario Mangiaracina alle chitarre, con il quale scrive i suoi testi eccentrici. Si esibiscono in un repertorio che comprende brani tratti dai loro due album, fra i quali “Invisibilmente”, introdotto da un coro in dialetto siciliano a cinque voci, “Cosa farò”, accompagnati da un’esaltante sezione fiati della Med Free Orkestra “Guardateci tutti”, con Sade Mangiaracina al piano. Da menzionare anche una stupefacente cover di “E la Luna Bussò”, reinterpretata in chiave totalmente personale e innovativa, conservando tutta la potenza della versione di Loredana Bertè. Si definiscono queer pop (strambi), e in effetti non somigliano a nessun altra band, stupendo per eccentricità ed energia, di gran lunga superiori dal vivo rispetto alle tracce registrate.
In sostanza, due gruppi diversi fra loro sono riusciti ad unire un pubblico attento e divertito, entrambi con il proprio stile, portando sulla scena una gran dose di talento.
Simone Zangarelli