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Lo “strike” di Primavalle e gli zingari, tra la retorica delle anime belle e il nodo dello stile di vita…

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È il tempo delle anime belle. Sono quelle che s’indignano perché in via Matteo Battistini, tra Boccea e Primavalle, due giovani zingari hanno fatto strike, come al bowling… S’indignano perché le anime brutte li chiamano zingari e non rom, né sinti. S’indignano, ma non vorrebbero mai una baraccopoli dietro l’angolo e uno zingaro in casa. Alle anime belle basta il linguaggio politicamente corretto. E le formule retoriche.
In sintesi: anche gli italiani fanno incidenti stradali, rubano, truffano, mendicano, in generale delinquono. Il che è perfettamente vero. Infatti il problema non è etnico, come sembra ritenere, per esempio, Dijana Pavlovic, responsabile della ‘Fondazione Rom-Sinti Insieme”, quando paragona il leader leghista Salvini a Hitler.
Il problema, nonostante le anime belle, è di stile di vita. In Andalusia, e non solo, il popolo zingaro – non più nomade – ha creato una cultura. In Italia no. Non tutti gli zingari sono ladri, non tutti guidano senza patente, non tutti mendicano. Ma è indubitabile che la maggioranza degli zingari, cittadini italiani o stranieri, ha scelto di rimanere estranea allo stile di vita condiviso. Anche se ormai solo il 3 per cento dei 180 mila presenti può essere definito nomade. Gli altri abitano nei campi, per lo più abusivi. E vivono di espedienti. Persino Dijana Pavlovic riconosce “che nei campi Rom ci sono problemi”.
Se gli zingari si guadagnassero da vivere come tutti i cittadini italiani e gran parte degli immigrati, la loro integrazione sarebbe scontata da decenni. Se facessero realmente i giostrai – come alcuni fanno – o fabbricassero pentole di rame – senza rubare la materia prima alle strade ferrate -, se allevassero realmente cavalli – senza invadere terreni altrui -, se mandassero i figli a scuola invece di sfruttarli per mendicare, nessuno si interrogherebbe sulla loro etnia. Sarebbero trattati singolarmente come ogni altro delinquente, se il clan di appartenenza non levasse gli scudi in ormertosa difesa tribale, come accade per la verità anche in alcune situazione di degrado tutt’altro che zingare. L’Italia ha la mafia e quant’altro. Ma è consapevole che si tratti di degrado, un degrado che viene combattuto e non gode di prestigio sociale, anche se alla sua origine sicuramente vi sono ragioni sociali e culturali.
Cultura. Questa è la chiave magica delle anime belle. Ciascuno ha la sua cultura. Ma le “culture” non sono tutte uguali né parimenti commendevoli. Salvo eccezioni, purtroppo la “cultura” degli zingari non si è evoluta. Non conosce il rispetto di una legge diversa da quella del clan. Non conosce la proprietà privata, il rispetto dell’infanzia, delle donne. La questione è antica, ma non si può buttarla sempre in filosofia antropologia. Se qualcuno critica gli zingari perché tra loro c’è chi risulta paradossalmente titolare di una ventina di automobili, e una di queste ammazza qualcuno, dargli del razzista è troppo facile. È un modo per non vedere il problema, per nasconderlo sotto la sabbia. È retorica buonista. Che fa da sponda alla retorica cattivista, altra faccia della stessa medaglia. Facile dare addosso allo zingaro, o all’immigrato clandestino, senza chiedersi nel concreto che cosa si possa fare. Perché, almeno nel caso degli zingari, fare qualcosa è molto difficile. Di progetti di integrazione ne sono stati varati centinaia e centinaia sono falliti, e alcuni hanno arricchito delinquenti italiani, come a Roma è ben noto. Ma in generale sono falliti per l’indisponibilità dei diretti interessati. I quali, d’altronde, non possono essere passati per le armi. La sensazione è che si debba insistere, senza ascoltare le anime belle, anche con provvedimenti coercitivi. L’obbligo di istruzione, per esempio. L’obbligo di lavoro regolare, magari socialmente utile e controllabile. Il divieto di mendicare nelle strade. Non c’è bisogno di nuove leggi. Solo di un Comune che voglia rispettare e far rispettare – con il supporto necessario dello Stato – le leggi, i regolamenti. Quell’insieme di regole che distinguono la civiltà dalla barbarie, le culture tra positive e negative. Con buona pace delle anime belle, il problema resta solo lo stile di vita.