Home oltre Roma A Firenze la prima di “Fincostassù” al Niccolini dall’11 novembre

A Firenze la prima di “Fincostassù” al Niccolini dall’11 novembre

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Una variopinta foto di gruppo della Firenze anni Sessanta, che l’Alluvione si portò via, lasciando solo un segno scuro di nafta sui muri della città. Da venerdì 11 a mercoledì 16 novembre, in prima nazionale al Teatro Niccolini, va in scena Fincostassù, il testo del giornalista e drammaturgo Alberto Severi, in un nuovo allestimento sotto l’egida della Fondazione Teatro della Toscana. È il secondo appuntamento della rassegna “Alluvione. 50 anni dopo” dopo il grande successo di Sotto una gran piova d’acqua…

Per la regia di Lorenzo Degl’Innocenti Fincostassù (espressione semi-dialettale per indicare a che livello arrivò l’acqua dell’Arno) diventa uno spartito a più voci per un solo attore, Marco Zannoni, chiamato dagli eventi a testimoniare le varie fasi della catastrofe: una sorta di proteiforme personaggio collettivo, trascinato suo malgrado dal bozzetto vernacolare al dramma a fosche tinte.

 

‘Fin costassù’ è arrivata l’acqua dell’Arno nel 1333, nel 1844, nel 1966. I fiorentini a volte sembrano indicare quasi orgoglio, ai forestieri, utilizzando un avverbio tutto particolare (‘costassù’), le piccole lapidi apposte sui muri del centro storico che segnano il livello raggiunto dalle acque limacciose dell’Arno in occasione delle alluvioni che hanno devastato Firenze nel corso dei secoli.

L’espressione semi-dialettale diventa il titolo, e il pretesto, dello spettacolo scritto dal giornalista e drammaturgo Alberto Severi, in scena in prima nazionale al Teatro Niccolini da venerdì 11 a mercoledì 16 novembre, con la regia di Lorenzo Degl’Innocenti e l’interpretazione di Marco Zannoni. Prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, lo spettacolo dell’ultima alluvione del ’66 affida la cronaca ora drammatica, ora umoristica, ora perfino, suo malgrado, grottescamente esilarante, a una serie di personaggi divertenti, graffianti e poetici allo stesso tempo. Tutti interpretati da Zannoni.

“Prima di comprendere il significato dell’Alluvione”, spiega Lorenzo Degl’Innocenti, “se ne percepisce il suono. Fincostassù suona, anzi, è suonato da una piccola e disperata orchestrina che affannosamente cerca di non essere sovrastata dal fragore della catastrofe. Ogni personaggio è uno strumento che interpreta il proprio sgomento davanti al fiume di fango che a qualcuno divora tutto, ricordi, certezze, ricchezza, e ad altri regala illusioni, speranze e umanità”.

Il secondo appuntamento della rassegna “Alluvione. 50 anni dopo”, dopo il grande successo di Sotto una gran piova d’acqua…, è quindi con una serie di ritratti e situazioni tragicomiche, incrociate con un montaggio quasi cinematografico, in cui l’attore, solo in scena, assume di volta in volta l’identità di traghettatore beone o di sommesso eroe dell’acquedotto, di acida bottegaia o di cacciatore spaccone, di pittore dongiovanni o di pretino di curia, di rigattiere filosofo o di ciarliera moglie dell’orefice di Ponte Vecchio. Vernacolo, un po’ alla maniera del vecchio Grillo canterino, trasmissione radiofonica di culto della Rai toscana dell’epoca, con i suoi stereotipi, travolto e tuttavia ancora galleggiante nella tragedia. Almeno mezzo secolo fa, nel 1966. In tutto sono una decina di ‘quadri’ basati anche sulle testimonianze e i racconti dei testimoni (attinti per lo più dai libri Firenze. I giorni del diluvio di Franco Nencini e Acqua passata: aneddoti e ricordi dell’alluvione di Firenze di Maro Marcellini e Gian Luigi Corinto).

“Marco Zannoni”, prosegue il regista Degl’Innocenti, “è l’interprete ideale di questa tragicomica suite teatrale. In una lotta/danza con il suono, la luce e la materia che incombono, quest’attore dai mille registri riesce a coniugare la forza del dialetto con il più raffinato surrealismo”.

Fincostassù fluisce e tracima così, a imitazione dell’Arno in piena, per raccontare il diluvio come in diretta, a distanza di mezzo secolo. Fino allo struggente finale affidato al personaggio di Angela, l’angelo del fango, con le sue limpide lacrime riparatrici, e al controcanto ironico di Polvere, il cenciaolo-filosofo che di Firenze rappresentava, già a metà del ventesimo secolo, l’estrema, dimessa incarnazione.

“Il testo di Alberto Severi”, conclude Lorenzo Degl’Innocenti, “racconta l’Alluvione prima, durante e dopo, con le domande che restano sospese come i segni sui muri delle case, con i forse, i se, con le ipotesi, i dubbi e soprattutto con quel reagire tipico della nostra gente, carico di ironia feroce, che fa dei fiorentini un popolo a sé”.

Un popolo dalla difficile, sofferta, ma incrollabile fiducia nell’avvenire.