Un Fratello e una Sorella si ritrovano dietro la porta chiusa della stanza di un ospedale; dalla penombra arrivano il respiro e il canto della madre morente. Siamo in un luogo di frontiera, prima e dopo la fine, dove i due si incontrano dopo tanti anni di separazione. In un gioco di ricordi e conflitti, ricatti e fantasie, si rincorrono e si osservano, fino ad entrare in una simbiosi che cambierà profondamente il loro destino. Nelle scene successive – orfani – costruiscono i paesaggi del proprio tramonto, attraversando presagi di bellezza e di abbandono. Lontani dai reparti ospedalieri rigorosamente suddivisi in maschili e femminili, riscoprono il rito elementare della cura “di quando i mammiferi si leccavano da soli le ferite”. Lui intraprende una discesa salvifica nel femminile fino a che, insieme, aprono finalmente la mitica porta chiusa – di cui ormai sono padroni – e scompaiono in un abbagliante tramonto.
Se la consegna iniziale per l’autrice era quella di uno spettacolo sul tema della Cura, Lina Prosa restituisce una personalissima riflessione sulla Cura della Fine dove si incontrano – e si confondono – rito e contemporaneità, linguaggio quotidiano e abbandoni metafisici, a cui gli attori e i curatori dell’opera rispondono trovando proprie altrettanto personali chiavi di lettura scenica.
Teatri di Vita, 26-28 febbraio
via Emilia Ponente 485, Bologna; tel. 051.566330; www.teatridivita.it